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Libia, i nodi oltre il petrolio. Il punto di Ruvinetti

“Come già anticipato su queste colonne, la notizia della ripresa della produzione petrolifera è molto importante, allontana la guerra e sicuramente avvicina una possibile stabilizzazione”, commenta Daniele Ruvinetti, strategic advisor di grandi gruppi internazionali e fondi di investimento, esperto delle dinamiche libiche.

Ieri, attraverso una nota pubblicata su Facebook, la compagnia petrolifera libica, la National Oil Corporation (Noc), ha annunciato di aver revocato lo stato di forza maggiore dalle sue esportazioni: “Lo stato di forza maggiore sarà revocato da tutte i terminal di esportazione petrolifera dalla Libia. Il graduale aumento di produzione richiederà molto tempo a causa del grave danno ai serbatoi e alle infrastrutture provocato dalla chiusura imposta dal 17 gennaio”. Il direttore della Noc, Mustafa Sanallah, ha spiegato nel comunicato: “Siamo molto felici di essere finalmente stati in grado di compiere questo importante passo verso il raggiungimento della ripresa nazionale e vorrei ringraziare tutte le parti che hanno partecipato alle recenti discussioni per contribuire a raggiungere questo risultato”. Per il funzionario libico “questo è un momento importante in quanto abbiamo un obiettivo nazionale comune che è raggiungere la pace e la stabilità durature del paese”. Sanallah ha aggiunto: “Per quanto riguarda la National Oil Corporation, i lavori sono appena iniziati. La nostra infrastruttura è stata danneggiata in modo permanente e la nostra attenzione deve ora essere rivolta alla manutenzione e alla garanzia di un budget per condurre i lavori di ripristino delle infrastrutture. Dobbiamo anche prendere provvedimenti per garantire che la produzione di petrolio della Libia non venga compromessa di nuovo. Oltre alle perdite subite dal paese nel suo complesso a causa del calo della produzione di petrolio, che è stato valutato in circa 6,5 miliardi di dollari, la National Oil Corporation deve affrontare enormi costi aggiuntivi per la riparazione dei danni ingenti all’infrastruttura”.

“La riapertura — racconta Ruvinetti svelando alcuni retroscena — è arrivata anche perché gli Stati Uniti hanno fatto cadere il veto emiratino, aspetto non secondario. Soprattutto certifica quanto si sta capendo da tempo: Turchia e Russia non vogliono farsi la guerra“. La Turchia è sponsor politico e unico sostenitore militare del governo onusiano di Tripoli, il Gna; Russia, Emirati Arabi ed Egitto sostengono il lato opposto della guerra, quello della Cirenaica e del suo (ex) uomo forte, Khalifa Haftar.

“Per gli Usa di fatto il petrolio è un elemento cruciale (non solo per la Libia, ma per dinamiche più ampie. Ndr), e anche per questo motivo stanno cercando di far nominare Stephanie Williams come inviata speciale Onu permanente (attualmente è acting, facente funzione, dopo le dimissioni di Ghassan Salamé. Ndr). E non sarà facile, perché da mesi il dibattito è intenso e dovranno superare il veto russo-cinese”.

Il motivo delle volontà americane è collegabile alla fase di stabilizzazione che sembra avviata. “La ripresa del petrolio richiederà tempo per ragioni tecniche, però è certamente un elemento da cui può partire il dialogo”, aggiunge Ruvinetti. Ma ci sono dei nodi: “Innanzitutto c’è da risolvere è la gestione dei proventi del greggio, che probabilmente verranno messi su un conto terzo che resterà bloccato — continua Ruvinetti, che ha ottime entrature nel Gna — in attesa di un accordo più ampio. Resta aperta la partita di Sirte, e soprattutto il nodo Haftar: la maggior parte dei suoi sponsor lo vorrebbero mollare e sostituirlo nel ruolo complessivo con Agila Saleh, ma non tutti i suoi sponsor sono convinti e lui per ora non accetta passi indietro“.

Agila Saleh è il presidente del parlamento libico HoR, istituzione regolarmente eletta e inclusa nell’accordo Onu per la rappacificazione del 2015. “Agila — commenta l’esperto — è una figura presentabile, però non ha milizie che lo appoggiano e questo in un contesto come quello libico, ancora conflittuale, può essere problematico”. Saleh, sostenitore di Haftar e ben introdotto in Egitto e nel Golfo (è molto collegato all’intelligence saudita), ha proposto una road map per stabilizzare la crisi. L’ha sponsorizzata — grazie alla spinta egiziana — in vari paesi amici, per esempio ha avuto molti incontri in Russia. Martedì 14, quella che viene chiamata “dichiarazione del Cairo” (perché è da lì che Saleh l’ha lanciata qualche settimana fa) verrà presentata all’Italia. Il presidente della Camera dei deputati, il grillino Roberto Fico, incontrerà infatti il collega libico, che poi continuerà per Ginevra.

Val la pena ricordare che la proposta di Saleh prevede la fine del Governo di accordo nazionale per come l’Onu lo ha creato; poi vuole un nuovo Consiglio presidenziale “ristretto” formato da tre personalità in rappresentanza delle regioni storiche della Libia (Cirenaica, Fezzan e Tripolitania) e un governo “separato” dal presidente, con un primo ministro indipendente, in attesa di nuove elezioni da organizzare in una fase successiva. La proposta è considerata irricevibile da Tripoli e Ankara.

 

 



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