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Chi controlla il Mar Cinese controlla l’Asia Orientale. Il pensiero strategico Usa

Basterà la linea dura presa dagli Stati Uniti (attraverso la dichiarazione di illegittimità diffusa dal dipartimento di Stato) a fermare le rivendicazioni di Pechino sul Mar Cinese Meridionale? Probabilmente no, perché quelle pretese territoriali sono qualcosa di più: una necessità. Che finora non si è fermata davanti a niente, e potrebbe non fermarsi nemmeno davanti alla nuova escalation di Washington. La scorsa settimana, il segretario di Stato americano ha diffuso una dichiarazione in cui dichiarava “illegittime” quasi tutti le rivendicazioni territoriali cinesi su quel tratto di mare da duecentomila miglia quadrate che invece per la Cina sono territori storici dove nel frattempo ha provveduto in diversi tratti a militarizzare (piazzando piste d’atterraggio per i caccia più tecnologici o missili anti-nave).

La dichiarazione è stata la presa di posizione più dura mai fattA finora da Washington, ed è stata dichiarata da Pechino come un’interferenza illegittimi negli affari cinesi. È stato il culmine di settimane di confronto intensificato, con gli Usa che sono arrivati a schierare nell’area due portaerei. E la settimana appena iniziata si preannuncia non da meno, con i cinesi che hanno inviato a Woody Island (uno degli isolotto contesi e militarizzato da Pechino) almeno otto jet da combattimento.

Secondo il Wall Street Journal, la postura americana dietro alla dichiarazione di illegittimità si lega a un documento interno che nel suo cuore dice: “Le rivendicazioni marittime della Cina pongono la più grande minaccia alla libertà dei mari nella storia moderna. Non possiamo permetterci di rientrare in un’era in cui Stati come la Cina tentano di affermare la sovranità sui mari”. È una dichiarazione molto esplicita degli interessi statunitensi, che va oltre le contingenze di valore della zona. Seppur è vero che un terzo del commercio globale (più o meno 5mila miliardi di merci ogni anno) passa per quelle rotte; il 12 per cento del quantitativo annuo pescato nel mondo viene raccolto tra quei flutti; i fondali sarebbero ricchi di idrocarburi per un quantitativo grosso, sebbene non ancora definito. Il documento del Wsj un giornale amico dell’amministrazione, è stato probabilmente fatto uscire per spiegare meglio delle dichiarazioni pubbliche che gli Stati Uniti ritengono il Mar Cinese Meridionale l’area da cui si controlla l‘Asia orientale, e di conseguenza non sono disposti a cederla a una potenza rivale, anche perché questo potrebbe creare dei precedenti in altri ambiti.

La presa di posizione del dipartimento di Stato è arrivata nei giorni successivi a un vertice dell’Asean in cui i membri del sistema regionale hanno scelto la compattezza contro le rivendicazioni marittime di Pechino — circostanza tutt’altro che banale. Da qui a dire che per Washington l’obiettivo è raggiungibile, però, ci corre. Gli Usa possono rallentare e complicare l’ascesa cinese, ma difficilmente potranno fermarne la fisiologica necessità. Con un’immagine: nel 2018 la Cina ha firmato un MoU con le Filippine per avviare esplorazioni geofisiche congiunte da cui valutare la presenza di idrocarburi in un tratto di Mar Cinese su cui Manila ha alzato formali rivendicazioni contro Pechino. Una dimostrazione di forza del Dragone contro i Paesi più piccoli della regione, che davanti alla forza economica e militare finora hanno avuto poche scelte.



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