L’opposizione va in piazza in modo strutturato dopo i mesi del lockdown e mette a segno a Roma una manifestazione ben organizzata, ordinata e partecipata, superando quel senso di confusione ben evidente nell’incontro del 2 giugno in via del Corso.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (con Antonio Tajani) danno dunque buona prova di sé sotto il profilo organizzativo, trovando anche una serie di spunti polemici sul governo di indubbia efficacia per la platea di militanti e di sicura resa in chiave social e telegiornali.
Peraltro emerge con chiarezza che tanto la leader di Fratelli d’Italia quanto quello della Lega fanno ben poca fatica nel trovare punti deboli nella compagine governativa, molto concentrata sugli annunci del premier Conte ma assai meno risoluta nelle decisioni, come dimostrano i molti dossier aperti (in diversi casi da lungo o lunghissimo tempo).
Possiamo quindi dire che la manifestazione ha avuto successo, se inquadrata nel “giorno per giorno” della lotta politica domestica.
E possiamo dirlo con ancora maggiore convinzione se teniamo presente l’acuirsi delle divisioni nella compagine giallorossa, fenomeno figlio innanzitutto dell’evanescenza ormai evidente della proposta politica del M5S.
Quello che però dovrebbe preoccupare assai gli stessi Meloni e Salvini (con annessa Forza Italia) è che l’opposizione pare ben strutturata nella parte “destruens”, ma assai più fragile, incerta e divisa su quella “construens”, il che è assai grave per un raggruppamento politico che immagina (non senza fondamento) di giungere al governo in tempi prossimi (da cui la perentoria richiesta di elezioni anticipate).
Cartina al tornasole di questo “vuoto” è la presenza di un fantasma nella splendida Piazza del Popolo, un fantasma chiamato Mes che nessuno ha avuto il coraggio di evocare ma che ha volteggiato minaccioso sulle teste di tutti gli intervenuti.
Si dirà: il Mes è questione divisiva ma non così centrale (con FI pronta a votare con il Pd il ricorso allo strumento europeo di finanziamento e gli altri soggetti di destra assai più in sintonia con i grillini), perché in fondo si tratta di una trentina di miliardi, cioè solo una parte dell’ammontare degli interventi pubblici che nell’anno in corso verranno messi in campo, quindi ecco perché oggi dal palco nessuno ne ha parlato.
Questa tesi però è insostenibile, poiché l’atteggiamento italiano sul Mes altro non è che la traduzione pratica del nostro ruolo nell’Unione Europa, atteso che a Bruxelles si guarda alle mosse italiane non senza apprensione e (da parte di alcuni) con un certo sospetto.
Ecco quindi che il silenzio sul Mes nelle parole di Salvini, Meloni e Tajani diventa fatto politico di prima grandezza poiché nasconde (malamente) una divisione profonda e “strutturale” sull’idea stessa dell’Italia, sui programmi da attuare nei prossimi anni e su come finanziarli.
Perché se da un lato è chiaro il messaggio lanciato oggi dal palco mettendo la parola “lavoro” al centro della manifestazione, assai meno chiaro è come la destra italiana intende approcciare il tema, atteso che, tanto per fare un esempio, il partito più importante della coalizione, cioè la Lega, ha votato in Parlamento Quota 100 e Reddito di Cittadinanza, provvedimenti assai poco in sintonia con le idee liberali del nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi (che pure ha ricevuto oggi i complimenti di Salvini), quindi poco in sintonia con l’impostazione prevalente nel mondo delle imprese.
La destra italiana vista oggi a Roma è dunque in salute e battagliera, perfettamente adatta al ruolo di opposizione in cui si trova.
Come tale continuerà a mietere successi elettorali, uscendo ulteriormente rafforzata dal voto di settembre in diverse regioni.
Ma da qui a dire che è pronta per governare c’è una bella differenza.
Anzi, per dirla tutta fuori dai denti, la sostanza programmatica oggi venuta fuori dai discorsi sul palco è poca roba e comunque non sufficiente per formare un credibile programma di governo.