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E se ci fosse un’ipotesi Ursula per il Quirinale? L’analisi di Antonucci

Nei giorni scorsi è stato aperto su queste pagine un dibattito su una delle più importanti partite politiche in corso da qui al 2021: l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Sono molte le questioni aperte: l’individuazione di un profilo adeguato, tra i molti aspiranti che si stanno auto-selezionando per l’incarico; l’articolata costruzione della maggioranza necessaria per l’elezione, elemento da non sottovalutare in questi mesi di incertezze nella coalizione di governo e di lente ma inesorabili fuoriuscite di parlamentari dall’area della maggioranza verso l’opposizione; prassi e consuetudini quirinalizie, legate alla complessa procedura elettorale per il Colle più alto.

Ci sarebbe da invocare l’ipotesi Ursula, nel duplice senso: di individuazione dell’inedita e inattesa maggioranza elettorale, realizzatasi per l’elezione di von der Leyen al vertice tecnocratico europeo, da un lato e di reperimento di un profilo, femminile, con esperienza politica, dotata di capacità di negoziazione e di una leadership rassicurante, come nel caso della Presidente della Commissione, dall’altro lato.

E se il prossimo Presidente della Repubblica italiana fosse una donna? Il caso resta poco probabile, nonostante i dati relativi alla crescente presenza femminile nelle istituzioni politiche internazionali, rilevati dall’Ocse, e la circostanza, recentemente riportata da importanti mass media, che gli stati guidati da vertici istituzionali donne abbiano affrontato in maniera più efficace l’emergenza Covid-19. Tuttavia, l’ipotesi di scuola di una Presidente donna non può essere completamente elusa, soprattutto laddove si verificassero attriti maggiori tra candidati o difficoltà nella costruzione di possibili maggioranze elettorali.

Non resta allora che da considerare chi possano essere, in virtù di curricula politici e istituzionali di primo piano, le possibili candidate donne al Quirinale, pur sapendo che, in un paese politicamente tradizionalista come l’Italia, si tratta di una ipotesi, più che di una reale possibilità.

Una figura politica che sicuramente verrà chiamata in causa, più per farne il nome che per reali finalità elettorali, è Emma Bonino. Considerarla – senza effettive possibilità di farle ottenere l’incarico – per il posto al Colle corrisponde quasi ad un riconoscimento alla carriera politica di questa donna che ha sperimentato tutti i formati di partecipazione politica: dal massimo del movimentismo durante l’originaria esperienza nei Radicali negli anni 1960, fino al culmine della istituzionalizzazione con l’assunzione del ruolo di Commissario europeo per la Politica dei Consumatori e Salute dal 1995 al 1999 e la guida del Ministero degli Affari Esteri nel governo Letta nel 2013-14. Emma Bonino è una donna per tutte le stagioni della politica, ma probabilmente presenta un passato troppo esplicitamente laico – pure nella circostanza che il prossimo sia il turno di un esponente di questa area ideale, dopo il cattolico Mattarella – per raggiungere il vertice delle istituzioni italiane, ovvero di un paese radicalmente cattolico.

E allora non resta che considerare i nomi delle ulteriori riserve istituzionali. Escludendo le due senatrici a vita Elena Cattaneo (considerata, a torto o ragione, troppo giovane per l’incarico e troppo “nuova” rispetto alle dinamiche politiche, come se guidare, anche all’estero, laboratori di fama scientifica internazionale non costituisse una prova sufficiente di capacità di leadership e mediazione) e Liliana Segre (intenzionata a proseguire il suo ruolo istituzionale con le sue campagne di sensibilizzazione su temi sociali rivolte ai giovani, nonostante le minacce ricevute sui social), restano da considerare la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e la Presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia.

Un profilo fortemente politico, ma con aperture istituzionali, quello di Alberti Casellati, in grado di farsi strada con decisione nelle aule dei tribunali italiani, nel partito di Berlusconi e al vertice del Senato, con la nomina primato a seconda carica dello Stato nel 2018. Si tratta di un profilo coerente con l’esigenza di trovare una candidatura di area laica e liberale, ma probabilmente l’esperienza alla guida del Senato necessita, per sua natura, di una sua naturale prosecuzione fino alla scadenza del 2023.

Un profilo decisamente alternativo a Casellati Alberti è quello di Marta Cartabia. Giurista accademica presso l’Università di Milano Bicocca, Cartabia è passata alla vita istituzionale prima in Europa, con esperienze dal 2003 al 2010, e successivamente nella Corte Costituzionale italiana, di cui è diventata giudice nel 2011, e poi Presidente, la terza donna a ricoprire l’incarico, dal 2019. Una vera e propria riserva della Repubblica, secondo il linguaggio che si utilizza nelle circostanze dell’elezione del Presidente della Repubblica, con tutte le competenze giuridiche ed istituzionali adeguate a ricoprire il ruolo di vertice delle istituzioni repubblicane. Gli unici elementi contrari ad una sua sicura designazione di candidata in pectore sono l’appartenenza all’area culturale cattolica, che risulterebbe sovra-rappresentata, nel caso in cui venissero nominati due Presidenti appartenenti a questo orientamento ideale, e una certa difficoltà di costruire una maggioranza politica attorno ad una candidata che ha manifestato un’esperienza spiccatamente istituzionale e decisamente meno orientata alla dimensione partitica della politica.

Al di là delle valutazioni, squisitamente politiche, sui curricula delle candidate più plausibili, Casellati Alberti e Cartabia, resta da fare un’ultima valutazione. Nonostante la difficoltà oggettive e già evidenziate di poter vedere a breve una donna al Quirinale, considerare sinceramente l’ipotesi di avere una donna al vertice delle istituzioni repubblicane avrebbe un grande effetto per la società italiana. Si tratterebbe di un segnale di cambiamento rilevante, con un’apertura nei confronti delle donne che vale come exemplum anche per altri sistemi, come l’economia, il lavoro, la società, in cui il potenziale femminile è spesso compresso da un sistema abitudinario di attribuzione degli incarichi di vertice. Dare effettività alla formula delle pari opportunità, in politica, come nel mercato del lavoro e nel sistema economico avrebbe un grande valore pedagogico anche per le giovani generazioni di donne, sollecitando un maggiore impegno delle ragazze nella scuola, nello studio, nel lavoro, in vista di obiettivi possibili. Sarebbe opportuno che un adeguato dibattito su queste motivazioni per una candidatura femminile al Quirinale, si svolgesse nel paese, a latere di un processo di nomina istituzionale del vertice della Repubblica.

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