I Paesi nordafricani stanno rivolgendo sempre di più l’attenzione verso il proprio continente. Nel costruire relazioni con il Nord Africa e con il resto dei Paesi africani, l’Europa dovrebbe dunque tenere a mente questa nuova tendenza, spiega in un report per l’Ecfr Anthony Dworkin, senior policy fellow del think tank paneuropeo, che scandaglia la situazione in Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto.
Secondo l’analisi le questioni che stanno portando i Paesi magrebini ad allungare interessi e ambizioni verso sud, verso la parte profonda del continente, sono molteplici. E partono proprio dalla possibilità di sfruttare un eventuale sostegno diplomatico europeo (o occidentale) nelle politiche proposte in quei territori per anni dimenticati, con un interesse mutuo. L’attività di Marocco e Algeria, per esempio, guarda alle dispute sul Sahara Occidentale; quella egiziana all’enorme diga che l’Etiopia sta costruendo sul Nilo. Inoltre c’è una questione di sicurezza: nella porzione del Sahel si muovono vari gruppi jihadisti collusi con organizzazioni dedite alla criminalità più svariata; ancora più a sud, nella porzione settentrionale della Nigeria (e con tendenze espansionistiche) ha sede l’affiliazione baghdadista ex Boko Haram; in Somalia, ma anche in Kenya, sono sanguinosamente attivi gli Shabaab.
Esigenze geopolitiche, anche nella declinazione securitaria, che si abbinano alla necessità di crescita di questi Paesi. Con l’integrazione regionale nel Mediterraneo che è tuttora un processo faticoso, gli Stati nordafricani guardano a sud alla ricerca di nuovi mercati. E ne trovano di potenzialmente enormi. L’Africa subsahariana crescerà notevolmente nei prossimi anni, sotto la spinta demografica. E lo farà anche se l’incidente della storia prodotto dal coronavirus potrebbe rallentare questo trend.
Breve digressione funzionale. Se infatti “l’eccezione africana” — come Marylin Baumard ha definito sul Monde il mix di fattori che per il momento ha tenuto bassi i contagi nel continente — ha rallentato la crisi sanitaria, la situazione economica è complessa. Il virus sta colpendo infatti la classe media, registra Abdil Latif Dahir sul New York Times, con il rischio palpabile che una fetta della collettività più sviluppata (cruciale per la crescita educativa, politica ed economica dell’Africa profonda) torni in condizioni di povertà presto. Le attività commerciali in Paesi come il Kenya sono penalizzate dall’assenza di turismo, per esempio, come lo sono i grandi lodge e i safari (la Reuters riporta una stima: 55 miliardi di dollari persi); mentre l’economia più forte, quella nigeriana, subisce il calo del valore del petrolio (e sulle materie energetiche soffrono anche altri Paesi: Angola, Mozambico per dirne altri due).
Secondi l’analisi di Homi Kharas della Brookings Insitution riportata dal Nyt, “il collasso della classe media” dovuto al coronavirus “potrebbe richiedere anni prima di essere recuperato”, ed è anche sotto questo quadro che l’Unione europea potrebbe raccogliere l’impegno oltre-il-Sahara dei Paesi nordafricani. Dworkin suggerisce le policy: l’Ue deve “tener conto della natura complessa dei rapporti” tra Nordafrica e Subsahara; accogliere con favore il rinnovato impegno algerino nel Sahel; coordinarsi con le iniziative continentali nordafricane; partecipare a progetti insomma, ma allo stesso tempo valutare in modo critico gli obiettivi di quei quattro Paesi del nord prima di abbracciarli completamente.
“Gli attori politici europei dovrebbero essere consapevoli degli interessi, delle tensioni e delle rivalità che sono alla base delle politiche nordafricane nel continente. L’approccio dell’Africa subsahariana nei confronti del Nord Africa è sempre più pragmatico. Un approccio europeo altrettanto pragmatico (che favorisca il dialogo ma che sia rilevante per gli interessi nazionali dei potenti Paesi nordafricani) costituirebbe la migliore base per fortificare le relazioni dell’Europa con l’Africa“, scrive l’analista dell’Ecfr.