L’esperienza traumatica del Covid-19, dalla emergenza sanitaria all’inedita chiusura dell’economia ha riproposto in tutto il mondo i temi della crescita economica, quali l’innovazione, la produttività, il peso dell’industria e dei servizi, gli investimenti e il ruolo dello stato e del mercato. Nel nostro paese questi temi hanno una loro urgenza e drammaticità particolare, perché non riguardano solo il rilancio dopo l’arresto delle attività provocato dalla pandemia, ma anche la stagnazione tendenziale a cui l’economia italiana sembra condannata da alcuni anni. Le due variabili che sembrano più rilevanti a questo proposito, al di là dei processi di riorganizzazione dell’industria e del commercio globale, sono la produttività e gli investimenti. Entrambe queste variabili mostrano per l’Italia tendenze negative ed entrambe sembrano legate a condizioni istituzionali specifiche che finiscono per condizionare la performance dell’intera economia.
Guardiamo anzitutto alla produttività, che è un concetto apparentemente facile da intendere in base all’intuito e al senso comune, ma proprio per questo più facilmente ingannevole. Nel dibattito tra economisti, a differenza dell’eco dei media che tende a fare di tutt’erba un fascio, la produttività alla radice della crescita economica è caratterizzata come produttività totale dei fattori, piuttosto che come produttività del lavoro. Quest’ultima è più facilmente calcolabile, ma la sua variazione non fornisce una vera indicazione dell’incremento o decremento della capacità dell’economia di espandere il benessere dei cittadini. La produttività totale dei fattori, oltre ad essere di difficile stima, perché implica una ponderazione esplicita o implicita dei fattori produttivi che la determinano, è un concetto complesso che nasconde diverse difficoltà interpretative. Una parte di queste difficoltà è dovuta all’uso di misure monetarie nella sua valutazione, misure cioè che riflettono il sistema dei prezzi di mercato e non tengono conto dei beni che non sono oggetto di transazioni commerciali, quali, per esempio, le infrastrutture, l’ambiente e in genere i beni pubblici. Altre difficoltà sono dovute al fatto che le misure della produttività tipicamente si riferiscono alla cosiddetta efficienza allocativa, ossia, in ultima analisi alla capacità in un periodo di tempo (in media) di produrre un bene, il cui prezzo è stabilito dal mercato internazionale, al costo più basso possibile. Questa dimensione della produttività tende ad oscurare altre dimensioni legate non a uno scenario normale di produzione, ma a scenari meno probabili o addirittura estremi, quali quello che stiamo sperimentando oggi. In questi scenari sono più importanti le dimensioni relative alla resilienza, quali la robustezza finanziaria, la capacità di resistere agli shock temporanei, nonché di adattarsi a cambiamenti persistenti. Altre caratteristiche importanti sono la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale, di cui non si tiene conto nelle misure della produttività basata semplicemente sui valori di mercato dei prodotti, ma che costituiscono fonti cruciali di benessere (o malessere) sociale.
A questo proposito, l’esperienza globale del Covid-19 ha mostrato come il modello lineare ed esteso delle catene del valore internazionale e della produzione “just in time” presenti degli elementi cruciali di fragilità. Questi elementi, che dipendono dalla selezione avversa nei confronti di fattori di produttività “sociale” quali la resilienza e l’inclusione, si ripercuotono sulla sostenibilità del modello di crescita fin qui seguito. Questo da un lato appare dominato da considerazioni di breve periodo e da una concezione dei benefici limitati al profitto e alla gratificazione individuale. Dall’altro, oltre a mancare di promuovere la crescita del benessere sociale in senso lato, non sembra avere successo nemmeno in termini dei limitati obiettivi che si propone.
La performance negativa dell’Italia nell’incremento della produttività è quindi il risultato di un doppio fallimento, che deriva dal perseguire l’obiettivo sbagliato, senza peraltro riuscire a raggiungerlo. Questo doppio fallimento consiste nel tentativo di aumentare il benessere individuale senza tener conto delle possibili sinergie e della necessità di cooperazione sociale, il che mina alla base la possibilità di perseguire sia il benessere individuale, sia quello sociale. A questo riguardo, la progressiva carenza di investimenti pubblici appare particolarmente grave poiché manca una sufficiente diversità di istituzioni capaci di provvedere nei diversi ambiti amministrativi, evitando lo spettro della esclusione sociale e della segregazione territoriale. Queste istituzioni dovrebbero essere pubbliche e private, perché la produzione di beni pubblici presenta problemi, e possibilità di fallire, diverse per entrambi i tipi di istituzione. Quelle pubbliche, infatti, sono basate sull’idea del perseguimento del benessere collettivo, ma, proprio per questo, presentano incentivi deboli a ben operare per i manager e i burocrati che ne fanno parte. Quelle private, d’altra parte, sono poco credibili fornitori di beni di utilità sociale, proprio perché gli incentivi per gli addetti ai lavori sono forti.
La produttività in Italia presenta quindi tendenze negative da tempo, ma queste tendenze più che la causa, sono probabilmente l’effetto delle difficoltà della crescita del Paese. Da un lato, la produttività totale dei fattori è un indicatore ambiguo che dipende dalle statistiche utilizzate e dalle metodologie di quantificazione e di stima. Dall’altro, essa non è necessariamente una misura adeguata della performance dei fattori produttivi, perché non tiene conto di caratteristiche come la resilienza, la sostenibilità e l’inclusione sociale che, anzi, può tendere a sminuire. Inoltre, essa sottovaluta il peso dei beni pubblici e il ruolo che gli investimenti pubblici e privati possono giocare nel migliorare le caratteristiche di sviluppo del sistema.
Dal punto di vista degli investimenti, il concetto distorto di produttività ha avuto una serie di effetti negativi sulla dinamica dell’economia italiana. La limitata prospettiva fornita dalla massimizzazione dei vantaggi privati in scenari “normali” ha progressivamente ridotto gli investimenti di lungo termine e degradato la pianificazione economica a una programmazione strettamente finanziaria. Questa a sua volta ha portato alla scomparsa dei progetti di investimento come elementi di piani razionali di sviluppo economico e ha determinato una carenza progressiva di impegno dello stato e del mercato nei settori del capitale umano, naturale e sociale Per gli investimenti pubblici questa tendenza si è risolta in una caduta secca, mentre per quelli privati essa è consistita in una graduale ricomposizione della struttura produttiva a vantaggio delle imprese in grado di realizzare rendimenti del capitale più elevati in tempi brevi. In entrambi i casi le piccole e medie imprese, per cui le infrastrutture materiali e immateriali giocano un ruolo rilevante, sono divenute più fragili, meno capaci di crescere e più esposte agli eventi estremi. Tutto ciò è avvenuto in un clima di incertezza crescente in cui gli attori economici sembrano rassegnati ad attendere la prossima emergenza in un ambiente ostile ove le crisi sistemiche sembrano sempre più probabili.
In conclusione, siamo davanti a una emergenza economica che va al di là della semplice necessità di rilanciare l’economia dopo tre mesi di chiusura forzata delle attività produttive. È una situazione più difficile di quella precedente alla crisi Covid-19, ma è anche una opportunità per rivedere i modi e i tempi per investire nel settore pubblico e privato, ponendosi delle chiare priorità e utilizzando criteri di valutazione appropriati. L’incremento della produttività è un obiettivo chiave di qualunque tentativo di rilancio dell’economia italiana. Tuttavia, è necessario rivedere profondamente il concetto tradizionale di produttività e formulare un piano di investimenti che tenga conto della produttività privata e della produttività sociale, ma anche di caratteristiche tipicamente trascurate quali la sostenibilità e l’inclusione sociale. Una nuova generazione di investimenti pubblici che proceda efficacemente in questa direzione sarà essenziale per migliorare la qualità e non solo la quantità della crescita nei prossimi anni.