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Grillo apre ufficialmente la campagna elettorale di Roma. Ecco perché

C’è chi lo ha interpretato come un incoraggiamento ad andare avanti nonostante le difficoltà e i problemi e chi, al contrario, gli ha attribuito un significato completamente opposto: l’invito a Virginia Raggi a non ricandidarsi, a lasciar perdere, a gettare la spugna alla fine di questo mandato. Comunque lo si interpreti –  e nel variegato, per non dire rissoso, mondo delle correnti a cinquestelle i tentativi di esegesi sono numerosi – il testo apparso sul blog di Beppe Grillo dal titolo “Virgì, Roma nun te merita” ha di fatto aperto la campagna elettorale in vista delle elezioni capitoline che si svolgeranno la prossima primavera.

Un sonetto che poi un sonetto non è – il commento è scritto in prosa come se fosse uno stornello, ma certo non può considerarsi un componimento poetico – il cui effetto principale è stato quello di mandare in subbuglio la politica romana e soprattutto i pentastellati, che in molti casi hanno preso nettamente le distanze dal fondatore a causa di alcuni degli epiteti riservati dall’autore, l’attivista Franco Ferrari, ai romani, definiti, tra l’altro, “gente de fogna” per le critiche rivolte a Raggi. Che è stata costretta, infine, a intervenire pubblicamente per chiedere che il testo fosse modificato. Anche perché saranno le decisioni dell’attuale sindaco a orientare l’andamento della campagna elettorale e i risultati delle elezioni di Roma.

Inutile girarci troppo intorno, d’altronde. Molto, moltissimo, dipenderà dalla scelta di Raggi di ricandidarsi oppure no alla guida della Città Eterna. Nel primo caso – detto che le servirebbe comunque il disco verde da parte dei vertici nazionali del movimento per derogare alla regola dei due mandati – sarebbe destinata a infrangersi qualsiasi ipotesi di alleanza tra i cinquestelle e il centrosinistra a trazione Pd, che ha già detto di non voler e non poter convergere sul nome del primo cittadino uscente. Operazione di fatto politicamente insostenibile visti questi anni di durissimi attacchi e polemiche. In questo scenario i partner di governo andrebbero quindi, salvo autentiche sorprese, separati alle elezioni, a tutto vantaggio del centrodestra che invece si presenterà unito. Certo, alle amministrative esiste il ballottaggio se nessuno dei candidati in lizza supera il 50% dei consensi al primo turno – circostanza che tiene viva l’ipotesi di un apparentamento – ma è inevitabile ritenere che in questo caso Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia si presenterebbero con i favori del pronostico, specialmente se riuscissero a trovare un nome di peso al quale affidarsi (ma al momento, visto il netto no di Giorgia Meloni, non se ne vedono).

Se invece Raggi alla fine non optasse per la ricandidatura, si aprirebbe un più ampio di margine di manovra per il movimento e per il Partito democratico che potrebbero così tentare di individuare una soluzione condivisa. Che peraltro non sarebbe, comunque, neppure sicura considerate le difficoltà che sono emerse in tal senso nell’ultimo anno nelle regioni in cui si è votato e in cui si voterà a settembre. Roma, però, è storia a sé e nei prossimi dieci mesi, peraltro, potrebbe succedere di tutto, anche o soprattutto in ottica nazionale: tutte le decisioni che saranno assunte sui territori dovranno essere, infatti, lette alla luce del fragile equilibrio che al momento consente al governo e alla maggioranza giallorossa di andare avanti.

E intanto, mentre si continua a parlare del destino che attende Raggi, si registra una sorta di corsa a defilarsi sia nel campo del centrodestra che del centrosinistra, quantomeno tra i cosiddetti big. Quasi a confermare l’idea che governare oggi Roma rappresenti, più che altro, un problema da evitare. Detto di Meloni, anche Enrico Letta – il cui nome era circolato diffusamente nelle scorse settimane – ha declinato la proposta (che non si sa se gli fosse arrivata pure formalmente). “Non sono neanche romano”, ha sottolineato l’ex presidente del Consiglio, a fugare ogni dubbio sulla sua voglia di non candidarsi nella capitale. In passato si era molto parlato anche di Carlo Calenda come possibile candidato ma pure in questo caso era arrivata una pioggia di smentite (ma ad avviso di scrive una porticina in tal senso rimane comunque aperta): “Non sono interessato, faccio un lavoro diverso”.

Dunque si naviga a vista: non ci sono finora candidati attualmente in corsa o personalità che abbiano manifestato la benché minima volontà di provare a cimentarsi con l’impresa di guidare Roma. Nel centrodestra, visto il no della leader di Fratelli d’Italia, sembra si voglia andare verso un nome della società civile, metà politico e metà manager. Più facile a dirsi che a farsi, mentre Flavio Cattaneo smentisce – anche lui – categoricamente. Nel centrosinistra invece – accanto a ipotesi un po’ nostalgiche, come quella di Walter Tocci, storico vicesindaco e assessore alla Mobilità ai tempi di Francesco Rutelli – il nome giusto potrebbe essere quello di David Sassoli, che al momento delle elezioni capitoline starà finendo il suo mandato da presidente del Parlamento europeo. Finora nessuna conferma e nessuna smentita – che di per sé è già qualcosa vista la corsa a sfilarsi – ma Sassoli rappresenta certamente un nome forte. E in più aveva già tentato di candidarsi nel 2013 alle primarie poi vinte da Ignazio Marino, nelle quali si era posizionato secondo, prima dell’ex premier Paolo Gentiloni arrivato terzo.

Comunque vada, la campagna elettorale per il Campidoglio è già, anzi appena, cominciata.

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