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Salvini fuorigioco? Tutto da vedere. Parla Orsina

Matteo Salvini politicamente fuorigioco? Tutto da vedere. La responsabilità del suo atto? Dell’interno governo di allora. Con quale risultato per la politica italiana? Aver rinunciato alle proprie prerogative per regalarle al potere giudiziario per motivi di conflitto interno.

Questo, in sintesi, il pensiero del prof. Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Goverment, secondo cui sin dai tempi di Tangentopoli per spezzare le gambe agli avversari il sistema politico italiano viene squilibrato dal suo interno.

Matteo Salvini rischia la condanna e dunque di essere messo fuorigioco?

Bisognerà attendere come lo giudicheranno i magistrati. Che la condanna lo metta politicamente fuorigioco è tutto da vedere, soprattutto perché non sappiamo quando arriverà il verdetto: potrebbero trascorrere degli anni, e l’eventuale condanna arrivare in una contingenza politica completamente differente dall’attuale. Al momento sappiamo che esiste un elemento giudiziario che potrebbe indebolire Salvini nella sua agibilità politica, ma pure rafforzarlo dal punto di vista del consenso elettorale. Ribadisco, però, che si tratta di una partita che non si giocherà oggi.

Salvini ha detto che “il divieto di ingresso nelle acque italiane di questa nave spagnola era a firma mia, del ministro dei Trasporti Toninelli e del ministro della Difesa Trenta”. Per cui la responsabilità è anche del governo?

E che dubbio c’è? Francamente, tutta questa storia mi sembra un’assoluta follia: per prevalere le une sulle altre, le forze politiche chiamano in campo la magistratura, riducendo ulteriormente il già striminzitissimo campo di quel che la politica può fare e regalando altro terreno al potere giudiziario. Per altro, su un argomento come quello della tutela dei confini, che più politico non si potrebbe. Come se il rapporto fra politica e giustizia non fosse già terribilmente squilibrato. Niente di nuovo sotto il sole, del resto: è il gioco che giochiamo dai primi anni Novanta, col bel risultato che la politica ormai è ridotta com’è ridotta. Proprio perché si tratta di una questione squisitamente politica, chi abbia firmato mi pare secondario: in quel momento quella era l’iniziativa politica più importante dell’allora governo ed era sotto gli occhi di tutti. La responsabilità politica era dell’intero gabinetto, a partire dal presidente del Consiglio, che secondo l’articolo 95 della Costituzione “dirige la politica generale del governo e ne è responsabile”. Mi pare che su questa questione il dibattito pubblico italiano – che, a dirla con un eufemismo, non brilla mai per onestà intellettuale – abbia toccato una vetta eccelsa di disonestà. E la politica nel suo complesso non ha perduto l’occasione per compiere un atto di autolesionismo grave. Il milionesimo, forse, nell’ultimo quarto di secolo.

Fdi e FI stanno mostrando due passi diversi: Meloni resta al suo posto e cresce nei sondaggi, mentre i berlusconiani si avvicinano a Conte. Con quali prospettive per entrambi?

Meloni tiene una linea precisa, che fino a questo momento ha pagato, per cui le converrebbe non cambiare per continuare a gonfiarsi e guadagnare voti. Occorrerà, se la situazione dovesse mettersi in movimento, immaginare un punto di caduta di quei consensi e come spendersi. E se la situazione non dovesse mettersi in movimento, allora dovrà cercare di metterla lei stessa in azione. Ad ora direi che il suo lo ha fatto: un partito piccolo è diventato un giocatore di primo piano. Resta da capire come mettere a terra tale potenziale elettorale in un momento nel quale le posizioni politiche meloniane sono sospinte ai margini del sistema.

E Forza Italia?

La strategia attuale degli azzurri è intelligente, in quanto tarata sul classico schema della politica italiana dei due forni. In questa fase Berlusconi è in una posizione cruciale, perché rappresenta sì un pezzo dell’opposizione, ma il pezzo più vicino a un governo debole, con possibilità di sostenerlo: un modo per il leader di massimizzare il proprio potere e la propria visibilità. Il punto è capire cosa farà FI se la situazione dovesse precipitare: l’ambiguità dovrà sciogliersi, con due strade possibili ma entrambe difficili. Fare il socio minoritario di Salvini e Meloni, oppure accettare la sfida della grande arena centrista nella quale dovrebbe vedersela con altri attori come Renzi e Calenda, ma finendo per portare i voti a un governo Pd-M5S. Ossia a un governo che rappresenta l’antitesi esatta della storia di FI.

In Spagna intanto Vivendi riesce a bloccare il progetto Media for Europe, con conseguenze anche in Mediaset, Tim e Bolloré: influirà sulle scelte politiche del Cavaliere?

Non conosco la vicenda nei dettagli, ma in generale osservo che il Cavaliere ha sempre tenuto molto ben presenti gli interessi aziendali. Non dimentichiamo però che i parlamentari azzurri non sono Berlusconi e hanno i propri obiettivi nei collegi di riferimento, come l’esigenza di una salvezza politica che al momento difficilmente può garantire loro il fondatore di FI.

Il caso Salvini come può cambiare la strategia del destracentro? Vede possibile un incidente di percorso per la maggioranza?

Dipenderà molto dal tipo di incidente. Da quello che ho capito Salvini continua a puntare sulla carta della spallata: se il governo dovesse cadere sulle regionali, saremmo in presenza di una crisi politica classica. A quel punto diventerebbe difficile ipotizzare un soccorso da destra, perché FI sosterrebbe una situazione ormai moribonda visto che il quadro sarebbe già saltato sulle regionali. A ogni modo, ritengo molto improbabile una crisi sul voto di settembre. Invece se andassimo verso una crisi sociale ed economica davvero drammatica, allora tornerebbe in campo l’idea del governo di larghe intese con Draghi. A quel punto però saremmo dinanzi ad uno scenario apocalittico, quindi anche tutti i discorsi strettamente politici che strutturiamo oggi verrebbero a cadere.

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