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Santa Sofia, capire la sfida alla modernità voluta da Erdogan

Ai vertici del potere turco dal 2003, l’attuale presidente Erdogan ha detto che la trasformazione d Santa Sofia in moschea è il coronamento di un suo sogno d’infanzia. Come mai ci ha messo così tanto tempo a realizzare questo sogno? Tutto sommato la sua richiesta al Consiglio di Stato turco è di pochi mesi fa. Perché non l’ha fatto prima? I sogni a volte si avverano se uno lo chiede. Certo, se Erdogan avesse voluto avrebbe potuto fare come fece Ataturk: non c’era bisogno di nessun parere del Consiglio di Stato, bastava un decreto presidenziale sulla destinazione d’uso dell’immobile. Il fatto è che nel doppio forno erdoganiano Santa Sofia non serviva quando lui guardava a Occidente, e si diceva pronto a riaprire il grande seminario teologico ortodosso che fu aperto in epoca ottomana e chiuso da Ataturk. Non serviva neanche dopo, quando era l’economia a creare il consenso per l’uomo nuovo che doveva liberarsi dai generali kemalisti. Serve ora però, per cercare di nutrire i turchi di quel revanscismo nazionalista che tanto facilmente abbindola tanti, non tutti. E che proietta Erdogan nella feroce guerra tra satrapi che vogliono conquistare militarmente l’Islam come il terzo incomodo tra khomeinisti e wahhabiti. A tanti disperati, delusi, affamati, lui dà in pasto l’idea di un nuovo Califfo, non certo di un nuovo Sultano. I Sultani non erano nazionalisti, riaprirono il patriarcato ortodosso, crearono la sede arcivescovile per gli armeni ad Istanbul, favorirono il seminario teologico. Dunque Erdogan è un anti-ottomano, un nazionalista che sogna un consenso che non ha e per costruirlo piega ai suoi disegni l’Islam come khomeinisti e wahhabiti.

In tutto questo certo non è solo. Le campane a lutto che giungono dalla vicina Grecia ricordano a tutti che il lutto per Santa Sofia arriva da un Paese dove non c’è una moschea che sia una: strano modo di essere cristiani… quello che soffoca l’altro…

La sua festa Erdogan la condivide con i leader dell’Islam turco cipriota, gli azeri tornati in conflitto, gli amici qatarini che lo tengono a galla e Hamas: pochino no? Ma serviva adesso per le difficoltà interne, dove la gente però non si è fatta abbindolare e sa che non sarà Santa Sofia a far risalire la lira turca sui mercati,  e per dare un tocco islamico alla sua campagna libica, che potrebbe sfociare in conflitto con l’Egitto. Bella fine per il leader che parlava di “zero problemi” con i vicini.

Il doppio forno di Erdogan oggi porta 17mila poliziotti e un minuto drappello di delegati stranieri davanti a Santa Sofia. Magro bottino per un’operazione che ha ridato fiato alla destra più estrema del nazionalismo senza rialzare di un centimetro l’economia, che lui piega al suo nazionalismo estremo.

L’evidenza di questa giornata sta nel deprimente drappo nero che copre i mosaici bizantini durante la funzione. Ma non può coprire la cupola di Santa Sofia. Quella Sofia, cioè La Sapienza divina, ci ha voluto diversi. E questo il sapore del drappo nero non può coprirlo. Erdogan sfida la modernità per sopravvivere. La speranza è che il cristianesimo vero sappia rispondere con più modernità, non con dolorosi ritorni di spirito crociato. È la diversità la vera Santa Sofia, non sarà Erdogan a cambiarla, a renderla una Sapienza omologante. Chi rispondesse con toni crociati, come sembrano fare alcuni, non farebbe che sostenere il progetto di Erdogan: a pseudo califfi serve sempre uno pseudo crociato.

(Foto: interno di Santa Sofia)

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