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Dalle sanzioni alla guerra dei turisti, il braccio di ferro Ue-Russia secondo Pellicciari

Ancora una volta quella che definimmo la Guerra dei Turisti sta dominando le cronache estive e offre continui spunti di riflessione geo-politica che vanno al di là delle semplici cronache (post)pandemiche. Ricapitolando.

Ancora prima della difficile reintroduzione di Schengen (interrotto “dal basso” dagli Stati Membri nella Fase 1) si erano mosse Germania e Austria ventilando l’ipotesi di creare corridoi turistici a favore di Croazia e Grecia e a danno dell’Italia.

Poi vi è stata l’apertura in ordine sparso dei confini interni alla Ue, con il persistere di importanti limitazioni tra Stati membri (emblematica quella della Grecia verso l’Italia, che ha quasi portato Roma all’incidente diplomatico con Atene).

Cui è seguita la montante presa di coscienza dei singoli Stati sull’importanza di trattenere il turismo domestico dentro i confini nazionali per sostenere Pil disastrati, scoraggiando viaggi all’estero. A tal punto da lanciare pubblicità “comparative” con promessa di bassi rischi di contagio (viste peraltro anche nella competizione interregionale italiana, come il colpo basso dello spot della Calabria contro l’Emilia Romagna).

Tuttavia, a confermare che l’orientamento dei flussi turistici sia oramai diventato strumento di Risikovid (copyright Marc Innaro) che non rispondono solo a misure di profilassi sanitaria, ma anche a logiche politico-diplomatiche, sono due recenti mosse rispettivamente dell’Unione Europea e della Russia. Sulle quali conviene fare alcune considerazioni in aggiunta alle scarne cronache descrittive che le hanno accompagnate.

La prima riguarda la (pare molto discussa) decisione presa a Bruxelles di stilare una lista di paesi extra-Ue con la raccomandazione agli Stati Membri (il termine la dice tutta sul potere che questi mantengono sui confini) a iniziare a revocare loro dal 1 luglio 2020 le restrizioni di viaggio alle frontiere esterne dell’Unione, perché ritenuti non più a rischio.

A destare sorpresa è stato il considerare la Gran Bretagna parte della Ue e quindi senza alcuna restrizione di viaggio, nonostante la Brexit e un quadro pandemico ancora serio, nonché l’inserimento nella lista bianca di Paesi come Serbia (nel mezzo di una grave recrudescenza del virus e un ritorno a un hard lockdown) e, soprattutto, Cina (anche se a condizione di reciprocità da parte di Pechino).

A creare malumore nei paesi mediterranei della Ue (Italia, Spagna, Grecia) è stata l’esclusione dalla lista della Russia che preclude l’arrivo dei suoi numerosi e alto-spendenti turisti incoming, motivata con gli alti tassi di contagio del Paese, che sembrano essere tuttavia più il risultato dei milioni di test finora condotti (300.000 al giorno) che di una situazione pandemica fuori controllo.

Né l’argomento di una possibile falsificazione dei numeri del virus da parte di Mosca sembra reggere alla lunga.

Premesso che i dubbi sulla veridicità dei dati pandemici persistono un po’ dappertutto, anche nella Ue, non si capisce perché la Russia, se del caso, abbia “ridotto” il numero delle sue vittime mantenendo alto quello dei contagi. Sarebbe una incongruenza che definire ingenua è poco.

Questo ha alimentato il dubbio in molti, a iniziare dalla Farnesina, che il Covid sia stato, tra i Paesi della Unione, giustificazione ideale per applicare al settore turistico la stessa logica politica selettiva usata nel recente passato con l”uso delle sanzioni.

Dove il motivo formale erga-omnes a monte della loro introduzione (“colpire a nome di tutti un paese reo senza se e senza ma”) si traduce in concreto in un diverso impatto sulle economie dei paesi sanzionatori a valle, con alcuni obbligati a pagare costi molto più alti di altri (si veda ad esempio il pesantissimo impatto delle sanzioni alla Russia sull’industria agro-alimentare italiana).

Concepite nella teoria delle relazioni internazionali come rara estrema ratio e ultimo passo “prima-del” ricorso imminente alle armi; negli ultimi decenni la sanzioni sono diventate invece strumento molto frequente, prima opzione “invece-del” confronto bellico.

Sono inoltre estremamente facili da introdurre mentre, per converso, difficili da togliere e destinate a resistere a lungo; anche quando i motivi che le hanno giustificate sono stati superati.

Il sospetto che oramai la Guerra dei Turisti si sia spostata sul terreno della logica del modellare le sanzioni in chiave geo-politica lo conferma la decisione Russa di questi giorni, in risposta a Bruxelles, di riattivare collegamenti aerei diretti con solo 9 paesi dell’Unione Europea oltra alla Cina e altri paesi confinanti asiatici.

Il fatto che tra i paesi europei siano stati inseriti Italia, Germania, Polonia ed Olanda può essere spiegato da un lato con il notevole volume dell’interscambio commerciale che hanno con la Russia (nel caso italiano soprattutto turistico), dall’altro parrebbe essere più una mossa del cavallo diplomatica per cercare di scardinare il meccanismo di Schengen nel momento in cui questo è più debole e diviso al suo interno.

Che la lista redatta da Mosca punti poi anche all’ obiettivo politico-economico di difendere il proprio turismo interno (già rilanciato dalle sanzioni post-Ucraina e dalla svalutazione del rublo) è dimostrato dall’esclusione eccellente di paesi come Turchia, Tailandia, Spagna, Portogallo ed Egitto; tra le mete più amate del turismo di massa di fascia medio-bassa russo.  Che quest’anno l’Agenzia Statale per il Turismo Russo (Rosturism) cerca di dirottare in Crimea e sul Mar Nero, nelle foreste e laghi della Carelia, nel Caucaso o in Siberia.

Seguendo il dna longevo delle sanzioni, è probabile che questi trend turistici, lanciati in emergenza, verranno istituzionalizzati per resistere a lungo. Anche dopo il Covid.

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