Un grande regista parla di sé, della sua esperienza di asmatico nel tempo della pandemia. È Martin Scorsese e lo fa con un figlio della sua stessa terra, la Sicilia, anche lui direttore, ma di una diversa produzione culturale, La Civiltà Cattolica.
Il primo elemento che emerge è che per la principale pubblicazione del cattolicesimo italiano, e non più solo italiana, l’arte, l’artista, ha molto da dirci per capire e vivere questo tempo. E l’artista prescelto in questa occasione vive a New York, negli Stati Uniti così colpiti dal virus e dalle contemporanee proteste innescate dal crimine di Minneapolis.
Cosa racconta, cosa ci dice Scorsese stimolato a parlare di sé in questo tempo da padre Antonio Spadaro? Ci dice che lui ha l’asma e questo tempo all’inizio lo ha vissuto male. Ovvio per tutti, ovvio ancor di più per chi ha una patologia grave proprio dove il virus colpisce. E allora? Allora lui ha conosciuto l’ansia, non sapere cosa sarà, cosa accadrà. Poi qualcosa è cambiato, poi Scorsese ha capito. Quell’ansia, quel non sapere neanche chi sarebbe stato lui stesso se non fosse potuto tornare a dirigere un film già progettato, gli ha fatto capire. Ha capito che quell’ansia, quel non sapere, lo univa a tutti: chi sa cosa accadrà di noi domani? Questo lo ha portato a vedere ciò che conta, il qui e adesso.
In questo passaggio cruciale, il passaggio in cui Scorsese scopre che ciò che conta è valutare bene il valore di una moglie, dei figli, degli abbracci, dei baci, degli amici, scoprendosi unito, parte di un tutto con gli altri; “siamo tutti sulla stessa barca” avrebbe detto Francesco e il qui e adesso diviene una felice e altissima fusione di cristianesimo e Zen, di grazia-dono profuso gratuitamente da Dio-e yoga.
È un incontro che Scorsese riassume con maestria e umiltà, con delicatezza e profondità. Ecco domanda e risposta sul suo punto di arrivo: “Con un altro amico ho letto alcune storie di Kipling e ne siamo rimasti entrambi impressionati, in particolare da Loro. È un racconto molto diverso dalle storie e dalle poesie per cui è diventato famoso. Lo ha scritto dopo la morte della giovane figlia ed esprime le tragedie che avvengono nella vita in maniera così vera e sottile… mi basta ripensarci per commuovermi. E l’altra sera ho visto un film, su suggerimento di un altro amico: un ritratto firmato da Ken Burns dell’artista e maestro spirituale William Segal. Mi sembra un itinerario, una strada dentro l’esperienza che hai fatto e che ti ha accompagnato a capire. Cosa ti ha colpito in questo ritratto di Segal?
C’è una scena in cui Segal invita, con l’esperienza della sua quiete e della sua meditazione, a puntare la nostra attenzione su ciò che è essenziale, su ciò che accade proprio ora, tra un respiro e l’altro. Essere. Respirare. Qui. Adesso. Tutto questo non è grazia?”.
Queste parole, qui-adesso-grazia, sono il cuore del messaggio di Scorsese, un incontro profondo e di grande rilievo.
Per coglierne appieno la valenza occorre scoprire William Segal, maestro spirituale per Scorsese. Chi è? Una rapida ricerca on line ci consente di appurare che è stato un “artista, studioso del pensiero orientale, di meditazione e ricercatore spirituale, William Segal, è stato fortemente influenzato dal pensiero del maestro Zen Daisetsu Teitaro Suzuki e soprattutto Georges Ivanovic Gurdjieff”. Tutto qui? No, c’è modo di leggere molto altro, ad esempio che “la sua domanda preferita era: ‘Chi sei?’. Sentiva che parlare di ogni cosa è una menzogna e che la verità reale è silenziosa. I suoi scritti, in gran parte note, trascrizioni, brevi periodi e invocazioni poetiche, puntano tutti in questa direzione lungo il cammino interiore”.
Questo tema del cammino porta indubitabilmente a Francesco, il vescovo di Roma che non ha certo tradito la celebre triade, Via, Verità e Vita, ma che finalmente ha ristabilito l’ordine rispetto alla consuetudine occidentale che antepone la verità. Francesco sa, come è nel testo, anteporre la via. I suoi riferimenti alle passeggiate, all’importanza dell’orizzonte sono noti. E se un grande gesuita come Adolfo Nicolàs ha spiegato che la via è l’anima dell’Oriente, la verità dell’Occidente e la vita dell’Africa, non si può non considerare che nel pensiero di Francesco polo positivo e polo negativo non vanno uniformati, ma considerati essenziali alla vita. Lo schematismo oppositivo è superato dalla visione di stagione fredda e calda, umida e secca: sono entrambe essenziali alla vita. Scorsese sa magistralmente inserirsi in questa visione universale collegando il “qui ed ora” della cultura Zen con la grazia, che tanto dice a tutti noi formati alla cultura cattolica acquisita almeno a scuola.
Rileggiamo Martin Scorsese: “Essere. Respirare. Qui. Adesso. Tutto questo non è grazia?”. Questa visione rivoluzionaria della grazia ci fa riscoprire l’ora, ciò che viviamo, che conosciamo, che incontriamo, che amiamo, come “grazia”. L’ossessione occidentale, l’ansia che aveva preso l’asmatico Scorsese, l’ansia di sapere ciò che sarà dimenticando ciò che è, arrivano a un incontro rivoluzionario in virtù di un qualcosa di improvviso, che Scorsese non sa definire, e che lo porta a non vivere più con ansia, a non temere domani, ma a saper riscoprire l’importanza di ciò che è e che è illusorio pensare che tutto tornerà come era: tutto cambia. E chi lo dice che tutto cambia? Un anziano che nella sua New York malata, preoccupata, si dimentica la sua ansia e vede i giovani che “combattono per migliorare il mondo”.
È lui che nell’intervista dà voce a questi giovani, specificando che non sono solo quelli americani; li vede lui, un anziano newyorkese.
Le passeggiate di Francesco, il suo dichiarato amore per la Cina, mi hanno portato a vedere l’importanza dell’incontro che propone Scorsese su La Civiltà Cattolica. Non è un incontro che si limita alla cultura Zen, ma include a mio avviso il Tao, filosofia delle polarità e dell’armonia con la natura. Zhuangzi ha scritto del Tao: “È lo spirito che dà spirito a Dio: è la madre dei cieli e delle terre. Esiste oltre l’altezza infinita, ma non lo si può dire distante; esiste al di là dei limiti e delle direzioni, ma non lo si può dire profondo. Già era prima dei cieli, delle terre e dei tempi, tuttavia non lo si può definire antico”.
Questa intervista ci fa capire quanto ci abbia impoverito l’ideologia dello scontro di civiltà. Chissà se il rapporto della Sicilia con la complessità, con l’incontro, ha a che fare con questa intervista.
Qui l’intervista integrale di padre Antonio Spadaro a Martin Scorsese su La Civiltà Cattolica