Il presidente/generale egiziano, Abdel Fattah al Sisi, è tornato a ringhiare sulla Libia. Galvanizzato dall’invito dei parlamentari amici — la maggioranza dell’HoR restata a Tobruk sotto il controllo di Agila Saleh — che ha chiesto al Cairo assistenza militare qualora il governo onusiano Gna, sostenuto dalla Turchia, decidesse di attaccare Sirte.
La città costiera è al centro della partita militare attuale — e dunque anche politico-diplomatica — che riguarda anche gli attori esterni. Sisi ieri parlava durante una riunione con leader tribali della Cirenaica, la regione del signore dalla guerra Khalifa Haftar, arrivati nella capitale egiziana per chiedere supporto militare contro la Turchia. Tra i notabili dell’Est libico c’era anche Saleh al-Fandi, riferimento pubblico della milizia Kaniyat, responsabile di brutalità di ogni genere a Tarhouna. Nel suo discorso, il capo di Stato egiziano ha ribadito le proprie linee rosse, Sirte e anche Jufra (città più a sud, sede di una base russo-emiratina haftariana), ma ha spiegato che si tratta di un tentativo di pace e stabilizzazione.
Ossia, evitare escalation. La retorica del presidente egiziano è aggressiva anche per nascondere problematiche non indifferenti interne al suo Paese. Le misure draconiane usate contro le opposizioni (su tutte la Fratellanza, da lì viene la rivalità con la Turchia) sono diventate un fardello a livello di immagine pubblica. Tanto che il Financial Times nei giorni scorsi ha chiesto alla Comunità internazionale di fare pressioni su Sisi (con un passaggio inevitabile richiamando il caso Regeni). Il richiamo arriva mentre il Cairo affronta il coronavirus: l’Egitto è il secondo Paese più colpito in Africa (84mila casi, ma potrebbero essere molti di più, perché di tamponi non se ne fanno a sufficienza).
Con la situazione che si somma una scorsa stabilità socio-economica che dura da anni, la disoccupazione, la crescita demografica non controllata e il problema dell’acqua. La crisi idrica è un aspetto geopolitico: la diga sul Nilo è un altro elemento di tensione regionale tanto quanto la Cirenaica, che vede in questo caso il Cairo impegnato in un complicato scontro con l’Etiopia. In questo clima pare difficile che l’uso della macchina da guerra egiziana in Libia (con tutti i problemi di costi e rischi specifici connessi) sia qualcosa in più che una minaccia narrativa di Sisi.