Il successo di Giuseppe Conte è indiscutibile e per la prima volta l’Ue si affaccia sui mercati finanziari con propri titoli di debito: l’Italia in prospettiva può investire quei denari in Pil e quindi in crescita. È il pensiero affidato a Formiche.net da Bruno Tabacci, Presidente di Centro Democratico, secondo cui dopo l’asse franco-tedesco che ha reso possibile ciò che era impossibile, il nostro Paese ha dinanzi a sé una straordinaria occasione.
Cosa c’è dopo la vittoria di Conte in Ue?
Il successo di Giuseppe Conte è indiscutibile: un fatto oggettivo riconosciuto da tutti. Osservo che c’è una ripresa di speranza, come dimostra l’approccio dell’Europa meno di dieci anni fa alla crisi greca, dove la cancelliera tedesca era molto meno disposta rispetto a come è stata oggi. La svolta c’è stata: Angela Merkel e l’asse franco-tedesco hanno reso possibile ciò che appariva impossibile. D’altro canto nell’ultimo discorso al Parlamento europeo della cancelliera si erano già riscontrati gli elementi di questa nuova fase: ovvero con una Germania che crede fortemente nell’Europa per il futuro, sulla base di semplicissime constatazioni.
Si riferisce al suo tessuto industriale?
Sì. Il 30% delle auto prodotte in Germania ha una componentistica italiana. Ciò dimostra che in questi anni l’Europa si è molto integrata. Germania e Italia, non a caso, sono i due Paesi che presentano le manifatture più rilevanti. Al di là delle motivazioni di natura etica, era ovvio che la coesione fosse decisiva in Europa per giocare un ruolo anche rispetto alla geopolitica, un settore in cui quotidianamente si evidenziano i contrasti crescenti fra Usa e Cina. Per cui l’Ue potrà giocare un ruolo se si dimostrerà capace di scelte strategiche.
L’accordo sul Recovery quindi va anche al di là del mero settore economico e finanziario?
Si. Nel febbraio scorso in pochi avrebbero scommesso sul fatto che l’Ue in pochi mesi avrebbe messo in campo 2640 miliardi. Vi sono i 1350 miliardi dall’acquisto dei titoli di Stato operato dalla Bce e i 1290 dettati dal nuovo bilancio europeo, al cui interno c’è anche la porzione del Recovery con titoli. Per la prima volta l’Ue si affaccia sui mercati finanziari con propri titoli di debito che presentano una tripla A e l’Italia in prospettiva può investire quei denari in Pil e quindi in crescita. Ciò dimostra che questo, altro non è, che il primo passo di un’azione che tende a rendere comunitario anche il debito, come premessa per rendere forti le istituzioni comunitarie: ecco il senso della svolta.
Lo strappo Pd-M5S sull’uso del Mes, che il commissario Gentiloni caldeggia oggi su Repubblica, potrà avere conseguenze?
Penso che prima la smettiamo di usare argomenti ideologici e di immagine e prima possiamo ottenere dei risultati. Mi piacerebbe non leggere più di “strappi” o di “punti imprescindibili”. Ricordo che le condizionalità del Mes sono meno rilevanti rispetto a quelle del RF. L’unico vincolo posto ai 36 miliardi assegnati all’Italia è sulla loro destinazione di spesa. Sulla base delle ultime aste normalmente ci costerebbe 1,8% di interesse per circa 600 milioni all’anno, mentre il tasso del Mes è di poco superiore allo zero. Un tema su cui si sono soffermati in molti in Aula, anche la stessa Meloni che, pur avendo sfumato le proprie iniziali posizioni, ha relegato quei 600 milioni come se fossero poca roba rispetto al nostro elevato debito pubblico. Non è una tesi condivisibile, poi non lamentiamoci se i Paesi frugali ci osservano con particolare attenzione.
Il Mes sarebbe disponibile subito mentre il RF solo dal 2021. Come potrà il tira e molla grillino essere sterilizzato dall’esigenza di avere liquidità subito?
L’Italia è il Paese in Ue che avrebbe la convenienza maggiore ad attingere al Mes, sia per la sua entità sia per il differenziale dei tassi. Sarebbe inoltre un segnale efficace inviato ai mercati finanziari, che già in questi giorni hanno preso atto della svolta. Adesso dovremo dare il segno che siamo nelle condizioni di gestire questi flussi. Chi dice no al Mes per ragioni ideologiche dimostra solo che gli italiani non cambiano mai.
E dopo aver detto sì come procedere?
In questi giorni è giunta al Parlamento la richiesta di scostamento di bilancio, accanto al Piano Nazionale delle Riforme. È evidente che dovremo dare all’Ue una risposta molto efficace, provando a guardarci dal sovranismo che è in noi. Ho individuato cinque aree in cui intervenire: sanità, digitalizzazione della PA, riassetto idrogeologico, scuola (tra edifici e corpo docenti), e infrastrutture fisiche e digitali. Investendo in queste macro aree 10 miliardi all’anno per cinque anni avremmo una spesa totale di 250 miliardi: ovvero i denari del RF e del Mes. Così crescerebbe il Pil, riducendo il debito. La scommessa sull’Italia è l’unica vera condizionalità: saremo in grado di presentare un programma di riforme credibili in tempi certi e soprattutto di realizzarle? Non abbiamo bisogno di altre quote 100 o di altri Redditi di Cittadinanza, perché fanno solo crescere il debito e non producono Pil.
Il fatto di dover gestire una cospicua fase di ricostruzione ed investimenti può da sola legittimare l’esigenza di una bicamerale?
Non occorrono altre strutture, ne esistono già di adatte: penso al Ciae, l’organo preposto di coordinamento interministeriale o alle commissioni bilancio.
Il gruppo misto si arricchisce di tre senatori di Forza Italia. Che segnale è, anche per le stesse opposizioni?
Ho letto sul merito due interviste dei protagonisti: in una Paolo Romani lascia intendere di guardare genericamente a Conte, nell’altra Gaetano Quagliariello ai sovranisti. Per cui?
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