Gli Stati Uniti hanno comunicato ufficialmente alle Nazioni Unite l’avvio del processo di uscita dal Who, acronimo internazionale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms è l’acronimo italiano). L’amministrazione Trump il 15 aprile aveva già fatto sapere l’intenzione attraverso un’auto-sospensione dal club dei paesi membri: mossa che arrivava in aperta polemica contro l’organismo onusiano guidato dall’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, accusato di aver coperto la prima fase della pandemia perché molto influenzato dalla Cina (che a sua volta, per ragioni di immagine e interessi, ha cercato di tener inizialmente nascosta l’esplosione virale).
La decisione americana arriva in un momento delicato, e sposta sull’organizzazione la reazione rabbiosa degli Usa davanti al dilagare dell’epidemia. I casi non si fermano negli Stati Uniti e stanno toccando quota 3 milioni, ossia un quarto dei contagiati totali (spalmati su 188 paesi). E sebbene il presidente Donald Trump cerchi di proiettare il paese nel futuro (minimizzando la crisi anche con interesse elettorale), ci sono stati come la Florida che da ieri, 7 luglio, hanno toccato il livello di saturazione del sistema ospedaliero, con le terapie intensive piene.
Il documento contenente la dichiarazione di ritiro statunitense dall’Oms arrivato sul tavolo del segretario delle Nazioni Unite porta data “6 luglio 2021”, secondo quanto previsto dal regolamento — che richiede un anno di preavviso. Per l’organizzazione e per l’Onu (realtà multilaterali davanti a cui, al di là di tutto, Trump ha sempre mostrato insofferenza) ora il problema è pratico: gli Stati Uniti sono il più grande finanziatore dell’organismo, a cui — con i 400 milioni di dollari del 2018-2019 — forniscono da soli il 15 per cento dei fondi (per confronto: l’Ue contribuisce all’11 per cento, la fondazione di Bill Gates al 9, la Cina solamente allo 0,2).
La scelta è controversa è molto divisiva (come molte delle mosse di Trump in questa fase) e si è subito portata dietro delle reazioni interne. “La revoca dell’adesione degli Stati Uniti potrebbe, tra le altre cose, interferire con gli studi clinici essenziali per lo sviluppo dei vaccini, di cui hanno bisogno i cittadini degli Stati Uniti e altri nel mondo “, ha scritto in una nota Lamar Alexander, senatore repubblicano del Tennessee, presidente della Commissione Salute: “E il ritiro potrebbe rendere più difficile lavorare con altri paesi per bloccare i virus prima che arrivino negli Stati Uniti”. Sulle data del ritiro non sfugge una sovrapposizione con una scadenza fondamentale per gli Usa, le presidenziali di novembre: per questo l’ex vicepresidente Joe Biden, il candidato democratico, ha dichiarato su Twitter che avrebbe fermato il processo di uscita “nel mio primo giorno da Presidente.”
La presidente della Fondazione delle Nazioni Unite, Elizabeth Cousens, ha dichiarato che “l’amministrazione Usa si sta ritirando formalmente dall’Oms nel mezzo della più grande crisi di salute pubblica che gli americani e il mondo hanno affrontato in un secolo. È miope, inutile e inequivocabilmente pericoloso”. Lawrence Gostin, direttore statunitense del Collaborating Center on National & Global Health Law dell’Oms, un dipartimento internazionale che si occupa di salute globale, al New York Times ha definito la scelta “tra le decisioni presidenziali più rovinose della storia recente […] Ciò renderà gli americani meno sicuri durante una crisi sanitaria globale senza precedenti. E indebolirà significativamente l’influenza degli Stati Uniti nella fase di riforma dell’organizzazione e nella diplomazia sanitaria internazionale”.
Gli esperti hanno riconosciuto in questi mesi che l’Oms ha fatto diversi passi falsi, anche importanti, durante la pandemia. Questioni come il ritardo delle comunicazioni o l’esclusione di Taiwan dalle informazioni epidemiologiche dirette (secondo una volontà ideologica del Partito Comunista cinese), è più che probabile che siano legati all’influenza che la Cina ha acquisito all’interno dei corridoi dirigenziali — per esempio, lo stesso Tedros ha un passato di ottime quanto potenzialmente opache connessioni con Pechino. L’agenzia tuttavia, anche davanti alle critiche su questa esposizione cinese arrivate non solo da Washington, ha lavorato per recuperare terreno e credibilità; attualmente sta coordinando le sperimentazioni cliniche dei trattamenti, nonché gli sforzi per produrre e distribuire equamente il vaccino in tutto il mondo.