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La guerra dei passaporti. Così Trump pensa al colpo finale contro Pechino

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Dagli studenti universitari ai leader del Politburo. L’escalation fra Cina e Stati Uniti si sta trasformando in una guerra dei passaporti. Secondo il New York Times, l’amministrazione di Donald Trump starebbe valutando la sospensione dei visti per i membri del Partito comunista cinese (Pcc). Non i leader, i “membri”.

Se dovesse andare in porto, il bando sarebbe senza precedenti. Vietare i movimenti ai membri del Pcc significa precludere qualsiasi viaggio negli States anche ai top manager delle principali aziende di Stato cinesi e agli alti ufficiali dell’Esercito di liberazione popolare, che non di rado hanno in tasca la tessera del partito. Perfino gli esponenti di partito e le famiglie presenti oggi nel Paese potrebbero vedersi revocare i loro visti.

Non è un caso che, per il momento, dalla Casa Bianca non siano arrivate conferme. Il National Security Council ha fatto sapere tramite una portavoce che, ad oggi, le uniche sanzioni in vigore sono quelle adottate dall’amministrazione la scorsa settimana contro alti ufficiali del partito responsabili di violazione dei diritti umani a Hong Kong e nella regione dello Xinjiang.

Il bando, scrive il Times, sarebbe “l’azione più provocatoria contro la Cina da parte degli Stati Uniti dall’inizio della guerra commerciale del 2018”. Anche perché si accompagnerebbe a un altro divieto, speculare e a tratti anche sovrapponibile. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha infatti annunciato che il governo federale imporrà restrizioni agli spostamenti delle aziende cinesi accusate di “abusi sui diritti umani”.

In cima alla lista c’è Huawei, il colosso di Shenzen al centro della Guerra Fredda per il 5G. Ma le nuove misure saranno estese anche alle compagnie che faranno affari con le aziende cinesi nel mirino. “Le compagnie delle telecomuncazioni dovrebbero considerarsi avvisate se fanno affari con Huawei fanno affari con persone che violano i diritti umani”, ha tuonato Pompeo questo mercoledì.

La stretta sui passaporti è più facile a dirsi che a farsi. C’è un problema di cifre: i membri del Pcc sono circa 92 milioni. Tre milioni di cinesi all’anno, in media, visitano gli Stati Uniti. I controlli, insomma, sono a dir poco proibitivi. Anche perché gran parte degli “iscritti” non ha una tessera, e rimane nascosta nella miriade di lavoratori, imprenditori, manager, funzionari che vivono in America.

All’interno dell’amministrazione, c’è chi teme che il bando tout-court segni una linea di non ritorno, e mandi definitivamente in fumo quel che resta della tregua commerciale. Dietro le quinte, è in corso un braccio di ferro fra i falchi anti-cinesi e le colombe, e i primi stanno vincendo. Come anticipato da Josh Rogin sul Washington Post, uno ad uno i più alti funzionari dell’amministrazione e i vertici dell’intelligence hanno deciso di rompere gli indugi sulla Cina.

Dal Consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien, in un tour europeo per convincere gli alleati (Italia in testa) a tagliare i ponti con Huawei, al direttore dell’Fbi Christopher Wray, che ha di recente definito l’ex Celeste impero “la più grande minaccia per gli Stati Uniti”, fino al procuratore generale William Barr, prossimo a un altro, duro affondo pubblico contro Pechino.

La virata dei toni è tangibile nelle sempre più frequenti stoccate di Pompeo. Che questo mercoledì ha suscitato la curiosità dei retroscenisti postando su Twitter una foto del suo cane che tiene fra le fauci un pupazzo di Winnie The Pooh. È il soprannome con cui viene ribattezzato dai suoi avversari, in tono sprezzante, il presidente cinese Xi Jinping. Ma forse è solo una coincidenza.

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