In questi giorni, tema dominante del dibattito politico è quale governance dare agli aiuti che dovrebbero arrivare, sotto varie guise (la più importante è il Recovery and Resilience Fund) dall’Unione europea (Ue). Il dibattito ha due aspetti. Uno è organizzativo: come l’Italia (non solo il governo, ma anche il Parlamento e l’opposizione) deve organizzare la preparazione e l’attuazione del programma di investimenti e riforme che sarà la base dei finanziamenti europei. Uno è contenutistico: quali devono essere i contenuti del programma. C’è un animato confronto sugli aspetti organizzativi proprio in questi giorni, e ne seguirà indubbiamente a breve un dibattito ugualmente animato su quelli contenutistici nella prima metà d’agosto. Il programma – come è noto – deve essere articolato e presentato all’Ue entro settembre.
Per ora il confronto sembra risvegliare interessi ed appetiti particolaristici: chi avrà maggior ruolo e maggiore visibilità nell’orchestrare il programma e nel definirne i contenuti. Pare mancare un fil rouge che consenta di valutare e selezionare sia le proposte organizzative sia quelle contenutistiche. Tale fil rouge dovrebbe essere, a mio parere, l’interesse nazionale, concetto a cui tutti si appellano ma che nessuno definisce.
A colmare questa gravissima lacuna giunge il volume della Fondazione Fare Futuro “Italia 20.20 – Rapporto sull’’Interesse Nazionale” che sta cominciando a circolare in questi giorni (per scaricare una copia in Pdf cliccare su questo link) e che verrà presentato in settembre. La Fondazione Fare Futuro è, come è noto, il maggiore think tank del centro destra, ma tra i 55 autori del rapporto (tra cui anche chi scrive questa nota ed il fondatore di questa testata, Paolo Messa) ci sono personalità di culture e sensibilità politiche differenti (ad esempio, Domenico Arcuri, Domenico De Masi, Marco Fortis, Ernesto Galli della Loggia, Umberto Ranieri e molti altri). Quindi, è un documento plurale e corale che in questa fase di dure contrapposizioni merita di essere letto e meditato.
Nel volume, l’interesse nazionale viene declinato sotto molteplici aspetti: da quello culturale a quello economico, da quello delle relazioni internazionali a quello del ruolo dell’Italia in Europa. Nei suoi capitoli, si tratta di come uscire dal declino economico, di come rilanciare lo Stato, le istituzioni, la funzione pubblica, della centralità della programmazione, dell’Italia come soggetto globale, della nostra Patria in Europa. Le conclusioni declinano in dieci punti (ciascuno dei quali articolato in vari sotto capitoletti specifici e puntuali). Particolarmente significativi ai fini immediati delle decisioni sulla governance sono quelli sulla programmazione economica. Ciò richiede una valorizzazione del Comitato interministeriale della programmazione economica (Cipe), una pubblicazione amministrazione più efficiente (allineando il quadro normativo a quello delle migliori pratiche europee), ed un monitoraggio attento degli investimenti e delle politiche pubbliche (e quindi anche delle riforme, nei comparti dell’istruzione e della giustizia, che da anni vengono indicati dalla Commissione europea come prioritari per l’Italia). Al Cipe darà indirizzo (e vigilerà sulle sue scelte) il Parlamento.
Al Cipe può essere utilmente affiancato il Cnel, nella sua doppia funzione di organo di rappresentanza delle parti sociali e dei corpi intermedi e di consulente primario di governo e Parlamento. Queste proposte non così distanti da quelle formulate dalla Fondazione Ugo La Malfa e dall’Associazione Guido Carli, due think tank a cui preme l’interesse nazionale.
L’interesse nazionale in una operazione di definizione ed attuazione degli investimenti e delle riforme per il rilancio economico dell’Italia con il supporto europeo deve essere anche quello di utilizzare questa occasione per andare verso una nuova Ue e predisporre le proposte dell’Italia alla Conferenza sul futuro dell’Europa, che – si auspica – è stata solamente ritardata dalla pandemia. Ciò deve fare sentire l’Europa più vicina al cuore degli italiani, darle un’anima ed una visione a lungo termine. Uscire dal trabocchetto di mostrare l’Europa come una costruzione dei mercati finanziari e dei burocrati. Come ha rilevato acutamente Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera del 27 luglio, mentre gli euroscettici sanno dare un’anima ed un cuore alle loro tesi, da alcuni anni gli europeisti hanno difficoltà a farlo. La sezione del rapporto dedicata all’Ue contiene utili indicazioni in questa materia, nonché suggerimenti immediati come una revisione delle regole di mercato interno e concorrenza, che finiscono per penalizzare a crescita di aggregazioni attraverso la loro inclusione in catene del valore europee ed il bando al dumping tributario.
Buona lettura.