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Wagner a Minsk. Perché Putin manda i mercenari da Luskashenka

La notizia è l’arresto di 33 contractor militari – tutti russi, escluso uno – in Bielorussia: l’ultimo episodio di uno scontro profondo tra Mosca e Minsk, che è l’aspetto interessante da ricostruire. I fatti però prima di tutto: il Consiglio di sicurezza bielorusso ha confermato che 33 paramilitari del Wagner Group sono stati fermati nel Paese. Le indiscrezioni di stampa erano circolate rapide ieri pomeriggio, probabilmente seguendo un’imbeccata da qualche fonte istituzionale di Minsk. La Wagner è l’ormai notissima società privata che il Cremlino usa per il lavoro sporco. Attiva nel Donbas ucraino o in Libia e Siria, ma anche altrove: ovunque la Russia voglia controllare dinamiche interne ad altri paesi; aree di interesse che vanno dall’Europa Orientale all’Africa fino al Sudamerica. Secondo le informazioni fornite dalle autorità bielorusse, ci sarebbero almeno 200 contractor della Wagner nel paese. Quella trentina ha attirato l’attenzione del Servizio di sicurezza bielorusso (Kgb) per il comportamento insolito: erano teoricamente turisti, ma non visitavano luoghi turistici, non avevano fatto uso di alcol (usanza classica), avevano una postura estetica “in stile militare”. Questi sono stati presi dopo essere stati tracciati nella regione di Minsk, gli altri sono al momento irreperibili, in giro per il paese.

Il controspionaggio bielorusso ha le antenne alte. L’accusa contro gli uomini della Wagner si specchia nel timore che serpeggia dietro alla presidenza Aleksandr Lukashenka: quei paramilitari russi erano nel Paese per creare interferenze e destabilizzazione in vista delle elezioni presidenziali del 9 agosto. Il timore è più che fondato, visto che Lukashenka (che si ricandida per l’ennesima volta: è presidente dal 1994) ha rotto più o meno con Vladimir Putin, ma lo Zar non ha nessuna intenzione di perdere una delle Russie. Impossibile raccontare gli arresti di questi giorni senza questo inquadramento, si diceva. Già a fine giugno il presidente bielorusso aveva accusato pubblicamente la Russia – e la Polonia – di cercare di interferire nelle elezioni. L’obiettivo dall’esterno è evidente: Mosca vuole mantenere Minsk sotto la propria sfera di influenza. Impossibile perderla senza perdere anche la faccia: per chi intende muovere i propri interessi tra gli affari internazionali, non è accettabile arretrare sul cortile di casa. Non è un ambizione: la Bielorussia come satellite russo è un obiettivo minimo per la strategia di Mosca. La Polonia lo sa, ne comprende la necessità strategica e per questo ha interesse affinché la Russia perda quel controllo di Minsk.

Non sfugga però l’elemento propagandistico con cui Lukashenka cerca di usare la situazione per accaparrarsi i consensi. Il pericolo dello straniero dovrebbe servire a compattare gli elettori su di lui. I cittadini dovrebbero percepirlo come il leader in grado di costruire l’aspirata indipendenza. È per questo che la Polonia è stata inclusa nelle accuse precedenti: Lukashenka non vuole mettersi nella posizione di sembrare sul punto di accettare una sussidarietà dall’Occidente per sganciarsi da Mosca. L’arresto degli uomini della Wagner (accusati di terrorismo, è roba forte) è dunque la seconda, forte denuncia pubblica contro il Cremlino nel giro di un mese e marca un momento storico. I collegamenti socio-storico-culturali – oltre a quelli economici e commerciali, di sicurezza e militari – finora erano state catene che facevano dei due Paesi una sorta di continuum indistinguibile. Da qualche anno però Minsk ha puntato sul costruire una narrativa autonoma, che punta su singolarità e originalità culturale bielorussa smarcata dal peso russo.

Una faglia in apertura lungo un asse che per il Cremlino è indispensabile. Sulle denunce contro la Russia potrebbe inoltre pesare anche un nuovo allineamento a Kiev, con cui Minsk condivide (assieme alla Polonia) il vecchio progetto della E40, infrastrutture di collegamento marittimo per connettere il Mar Baltico al Mar Nero (con possibilità di agganciarla alla E70, che da Rotterdam va a Varsavia). Proprio Lukanshenka ha voluto lo scorso anno riavviare il dialogo per l’opera. Qualcosa di integrabile nell’iniziativa europea Trimarium almeno nel pensiero. Laterale perché Bielorussia e Ucraina non sono membri Ue, ma nata anche questa per rompere i collegamenti fisico-infrastrutturale che determinano la dipendenza del blocco ex-sovietico da Mosca. Minsk, come Varsavia e Kiev, stanno cercando sostegno a questo grosso progetto strategico – che ha complessità di carattere finanziario, ma anche ambientale e logistico – e per seguire questo interesse cercano di mostrarsi sufficientemente affidabili e indipendenti.

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