C’erano migliaia di armi di vario genere — missili terra-aria e anti-carro, RPG, mitragliatrici, quintali di munizioni — in un cargo che le forze armate americane hanno fermato il 28 giugno al largo delle coste dello Yemen. Il segretario di Stato, Mike Pompeo, accusa l’Iran e chiede all’Onu di rafforzare l’embargo. Nel Paese c’è una guerra civile che dura da un lustro e che i Pasdaran alimentano fornendo assistenza militare ai ribelli separatisti Houthi. È uno dei cosiddetti conflitti proxy: i nordisti yemeniti hanno un’agenda abbastanza indipendente da Teheran, ma c’è la sovrapposizione del nemico comune, i Paesi sunniti del Golfo, che guidati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi (e assistiti da consulenti occidentali) hanno cercato di fermare gli Houthi. Nemici esistenziali da sempre, per l’Iran sciita è stata l’occasione perfetta per eseguire piani di attacco indiretto contro i rivali regionali. Fornire le armi ai ribelli in Yemen per uccidere militari sunniti e lanciare attacchi missilistici contro le città saudite senza attaccare direttamente. Massima efficacia, massima plausibile deniability.
On June 28, U.S. and partner forces interdicted a vessel off the coast of Yemen carrying illicit Iranian-origin cargo including surface-to-air and land-attack missiles, anti-tank missiles, hundreds of RPGs and rifles, & many other advanced weapons. The UN must #ExtendTheEmbargo. pic.twitter.com/SAY9DbBqRD
— Secretary Pompeo (@SecPompeo) July 9, 2020
La presenza di quelle armi è tutt’altro che una novità. Le navi americane hanno già fermato certi cargo che avvelenano il conflitto — già complicato dalle frustrazioni della coalizione a guida saudita, che, ansiosa ma incapace di vincere nonostante la superiore tecnica, s’è fatta più volte slittare il piede sul gas non distinguendo bersagli civili da unità militari. Ancora di più, la spedizione iraniana è pessima in questo momento, in cui le Nazioni Unite sono impegnate in un complicato processo di negoziato, e tra i Paesi della coalizione sunnita c’è maggiore volontà e consapevolezza nel cercare di trovare un qualche genere di intesa. È una delle varie prove che per una fazione interna ai Pasdaran mantenere aperte le rotte armate che spingono il caos nella regione è una questione ideologica, esistenziale, e soprattutto di interessi. Vendere le armi, incassare i proventi (tipo una mafia) e intanto colpire i nemici. È il grande problema dei conflitti per procura: gli attori esterni non sono coinvolti in modo diretto e possono andare avanti all’infinito a finanziare i combattimenti.