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Veleno per due. Perché il caso Navalny colpisce anche Putin. La versione di Biagini

putin

Le condizioni di Alexei Navalny sono gravi ma stazionarie. Il leader della lotta alla corruzione in Russia, personaggio carismatico e mediatico dell’opposizione al presidente eterno Vladimir Putin, è ancora all’ospedale di Omsk, in terapia intensiva dopo quello che secondo il suo team è stato un avvelenamento – probabilmente avvenuto mentre beveva del tea nel volo che dalla Siberia lo stava riportando a Mosca, giovedì 20 agosto.

Il primario del reparto di emergenza, che parla ai giornalisti da un ufficio dove un bel ritratto del presidente russo in mezzo a un campo di grano rompe la continuità del muro bianco, dice che per il momento non è possibile trasferire il paziente. Attorno a lui quelli che sembrano agenti dell’Fsb, mentre la camera è sorvegliata da decine di agenti della polizia. Dalla Germania ci sarebbe pronto un velivolo attrezzato, ma secondo i medici il rischio è che il corpo possa essere tossico per chi lo circonda (lo stanno trattando indossando tute hazmat, dicono i sanitari russi).

Secondo i collaboratori di Navalny è “una decisione politica e non clinica”, un modo per aspettare che spariscano le tossine all’interno del corpo del più internazionale degli oppositori alla democratura putiniana. Rintracciare il veleno potrebbe essere già un indizio: fu così nel recente caso della spia avvelenata a Salisbury, Sergei Skripal. Il Novichok, un agente nervino d’epoca sovietica, è un marchio di fabbrica del Gru, l’intelligence militare russa – e contemporaneamente serviva anche da messaggio per eventuali disertori.

I medici dicono di lavorare su cinque diverse diagnosi, ma non le rivelano. Dicono anche che non c’è traccia di veleni: e allora sulla base di cosa il corpo in coma di Navalny sarebbe tossico? È soltanto una delle tante domande che mancano per la ricostruzione dei fatti. Un’altra è perché? Il cui prodest… “Ricordo un episodio che qualche decennio fa mi racconto il corrispondente italiano della Tass. Quando ci fu l’attentato a Giovanni Paolo II, l’allora leader sovietico Breznev, informato dell’accaduto dai suoi collaboratori, sbiancò: continuava a dire ‘come potremmo mai dimostrare che non siamo stati noi?’“: la memoria è di Antonello Folco Biagini, storico, accademico italiano esperto nelle Relazioni internazionali, rettore dell’Unitelma Sapienza.

In queste ore molte delle speculazioni su quanto accaduto a Navalny hanno ruotato attorno a Putin: è certamente lui il principale sospettato, ma con le sue attività anti-corruzione, l’attivista si è guadagnato una fitta cerchia di nemici. Non tutto in Russia dipende da Putin, ed è la Russia stessa a interrogarsi su cosa e perché sia successo adesso. L’avvelenamento è una vicenda simbolica, che arriva in un momento delicato, in cui l’economia soffre, la pandemia non è certo risolta, il consenso attorno al presidente non è così roccioso come anni fa. Logico che abbia attirato l’attenzione del mondo sul Paese. Leader europei come Emmanuel Macron hanno offerto aiuto e cure mediche, la tedesca Angela Merkel asilo politico.

“Per allargare il ragionamento, fermo restando che ancora molti dettagli sull’accaduto non sono per nulla chiari, bisogna fare una premessa: tutta l’attività di Putin s’è mossa nel cercare di modificare un sistema (che già non brillava per democraticità rappresentativa) in una forma di governo totalitario e autoritario – spiega Biagini – ma anche qui non dobbiamo cadere nell’errore di considerare che non gli serva il consenso. Anzi, questo tipo di governi ne ha forse più bisogno, perché non hanno valvole di sfogo”.

La questione del consenso e del potere centrale attorno a Putin è una chiave di lettura interessante. Allarghiamo ancora il discorso? “In effetti potremmo anche immaginare che addirittura dei nemici interni di Putin abbiamo avuto interesse nel compiere questa operazione. Il motivo è indebolirlo, sia sul piano interno che come immagine esterna. Anche perché, ricordiamoci, pure i sistemi autoritario all’interno hanno posizioni critiche”, spiega il docente.

Negli ultimi anni Putin è stato protagonista di diverse attività controverse sia all’interno della Russia (la riforma delle pensioni e quella costituzionale che gli permette di restare al potere per altri due mandati, per citarne) che all’estero: pensiamo alle relazioni strette con la Cina (contraria alla classica dottrina russo-sovietica) o con la Turchia, ma anche alla Siria o all’Ucraina. È stato presente con spregiudicatezza su molti dossier internazionali attirandosi critiche, “e molte sono state operazioni certamente positive per la Russia, non per il mondo intero chiaramente – aggiunge Biagini – ma è ovvio: quando il sistema ha iniziato a mostrare debolezze sul piano economico interno, ha prodotto la rottura del grande consenso precedente”.

Questo, secondo il professore della Sapienza è dovuto anche al fatto che in Russia si sta formando una classe che ha molte delle caratteristiche tipiche delle realtà borghesi: “Storicamente mancata, ora diventa una realtà in modo più allargato rispetto alla nomenklatura del passato. E non potrebbero essere questi a volere delle modifiche al sistema, sebbene senza distruggerlo? A richiedere un’alternanza generazionale, per esempio?”.

Secondo la portavoce di Navalny, Kira Yarmysh, che comunica costantemente l’evolversi della situazione, qualsiasi cosa accaduta è riconducibile Putin, ma quale sarebbe la convenienza del presidente? “Vero che certe cose sono complesse da decifrare, ma credo che una direttiva del presidente dietro all’avvelenamento sia difficile, perché in questo momento non avrebbe nessuna convenienza nell’agire”, spiega il professore.

Putin in effetti si trova davanti scenari complessi, dalla condizione interna a sfide geopolitiche come quella sulla Bielorussia. Torniamo al cui prodest dunque… ” Se pensiamo a quanto accade a Minsk – aggiunge il professore – devo notare che mi sembra abbastanza strano che le strutture russe, esperte nel gestire certe situazioni politiche nel vicinato, si siano lasciate sfuggire questa situazione”. Anche qui, che cosa è successo? “Forse la Russia era impegnata nel grande scenario internazionale, oppure qualcosa è sfuggito di mano? C’è sicuramente stata una sottovalutazione, i rapporti con la Bielorussia non si sono deteriorati ieri e la situazione è da parecchio che sta sfuggendo dal controllo”.

Insipienza oppure volontà, ossia è un altro caso in cui qualcuno ha voluto creare in qualche modo un problema a Putin? “Diciamo che molto spesso anche in questi tipi di sistemi le strutture attorno al potere centrale hanno un peso da non sottovalutare”.

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