La Bielorussia è ancora, malgrado tutto, il Paese più stabile della ex-Unione Sovietica. Lukashenko, al potere dal 1994, non ha mai diviso il potere economico tra gli “oligarchi”, come è accaduto anche con Putin, ma ha trasferito, tutta intera, la macchina economica statale nel nuovo sistema politico da lui diretto.
È questo il vero divide tra Bielorussia e Federazione Russa, dove anche Putin ha i suoi “oligarchi” di riferimento, ai quali, in qualche modo, deve riferire la sua linea. Ancora oggi, per esempio, la BelAZ, la compagnia che produce strumenti da trasporto e da scavo in Bielorussia, controlla circa il 30% di tutto il mercato mondiale. E ha molte aperture anche nei mercati occidentali. Non è affatto vero che Minsk ha una economia da “relitto post-sovietico”.
Nell’ottobre 2019, la Bielorussia ha acquisito inoltre un prestito di 500 milioni di dollari dalla China Development Bank, che era alternativo a un finanziamento equivalente da Mosca, che non è mai arrivato. Il fatto geopolitico primario è che la crisi ucraina è stata letta, diremmo anche correttamente, dallo stesso Lukashenko come un vero e proprio “fallimento russo” e, da quel momento, Minsk ha progressivamente ridotto la sua dipendenza economica e quindi politica da Mosca.
Nel frattempo, la Cina valutava una nuova rotta, fuori dalla Ucraina, per la sua Belt & Road verso l’Europa. Due interessi che coincidono, compresa la voglia di diminuire il potere russo nell’area. È da questo momento che la Bielorussia usa i suoi rapporti speciali con la Cina per trattare con la UE e, per certi aspetti, anche con la stessa Russia. Nel solo 2018, lo scambio bilaterale Bielorussia-Cina aumenta del 17,1%, raggiungendo il totale di 3-5 miliardi di usd.
Nell’aprile 2019, durante il viaggio di Lukashenko a Pechino, la Bielorussia accetta in prestito dalla Cina (sempre con la Development Bank) di 100 milioni di euro, per sostenere le riserve della propria Banca centrale. L’Eximportbank cinese ha poi concesso 100 milioni 67,5 milioni di euro per le ferrovie della Bielorussia. Xi Jinping ha chiamato la Bielorussia “la perla della Belt&Road”. E il grande, miracoloso, sostituto per l’Ucraina, oggi inutilizzabile per i progetti cinesi, e non solo. Inoltre, il regime di Lukashenko offre sconti fiscali significativi a investitori sia europei che della “Unione Economica Eurasiatica”, la piccola “Belt&Road” diretta dalla Federazione Russa.
Prima del 2014, la Cina giocava tutte le sue carte sull’Ucraina. Ora, dopo i capolavori russo-occidentali sul territorio di quel Paese, la Cina si volge facilmente verso Minsk. La classe dirigente della Bielorussia ha anche pensato, nelle more della crisi ucraina, che la Russia minacciasse il suo territorio con le esercitazioni militari e si è fortemente insospettita per la domanda, da parte di Mosca, di aprire una base militare nel suo territorio.
La relazione semplice e pacifica tra Minsk e Mosca, quindi, esiste solo nei giornali mainstream occidentali. Mosca, peraltro, preferisce avere la Cina in Bielorussia che ogni altro alleato, quindi lascia fare, almeno per ora. Peraltro, ora Minsk, grazie al suo ruolo nella Belt&Road, ha ogni interesse a rafforzare tutti i legami anche con la UE, cosa che non è però nell’interesse dei russi.
Sul piano militare Lukashenko, durante la serie di manifestazioni di massa, ha annunciato alcune operazioni sui confini polacco e lituano, e ha annunciato inoltre che la Bielorussia “non diventerà mai un’area sanitaria tra Est e Ovest” e quindi nemmeno una zona-cuscinetto tra Europa e Federazione Russa. Segnale chiarissimo per la Nato, ma anche per Putin.
La rivolta contro Lukashenko nasce da alcune motivazioni solide: a) l’inefficacia grave del regime nel rispondere alla pandemia da Covid-19, b) l’efficacia, al contrario, dei social media nell’organizzazione delle manifestazioni, segno chiarissimo di qualche “manina” occidentale, c) gli attacchi del regime contro gli oppositori e le durezze della polizia durante la campagna elettorale e dopo, che hanno catalizzato, inevitabilmente, la risposta, d) la proibizione da parte del regime di fare statistiche elettorali ex post, e) gli arresti di bloggers, candidati, influencers e “militanti”, altro innesco della rabbia della piazza.
Hanno usato non internet, i manifestanti, che era stato bloccato da Lukashenko, ma NEXTA, un servizio di Telegram, che ha in Bielorussia 1,5 milioni di abbonati ed è stato capace di bypassare i blocchi alla rete imposti dal regime. NEXTA opera da un piccolissimo ufficio di Varsavia, segnale evidentemente non trascurabile, usa materiale anonimo e, strano ma non troppo, non ha pubblicità, ma è ben finanziata da “anonimi”. NEXTA, il 17 agosto, ha anche “ordinato” ai dimostranti di marciare verso una prigione di Minsk ed ha poi detto ai medici e ai giornalisti partecipanti alla rivolta di intervistare e di dare le prime cure ai prigionieri. In cerca di torture, soprattutto.
Sembra che il nesso tra i Servizi di Lukashenko e i media contro il regime sia molto stretto, le informazioni riservate girano rapidamente nelle reti web della rivolta. Lo stesso giorno 17, la Bielorussia e la Federazione Russa hanno annunciato l’inizio di esercizi militari congiunti in varie postazioni. I russi si sarebbero collocati presso Vitebsk, mentre le forze bielorusse si sono concentrate verso Grodno, sul confine polacco.
Ovvio che tutto questo accade con il sostegno tacito della Cina e, forse, con un qualche supporto economico di Pechino, che non vuole certo lo scontro con la UE ma, certamente, non vuole nemmeno la fine dell’autonomia della Bielorussia sia dagli europei che, per altri versi, dai russi. Lukashenko potrebbe chiedere l’aiuto, in ambito CSCE, della Russia, ma certamente eviterebbe fino all’impossibile anche uno scontro diretto con la NATO.
C’è anche, e non è da poco, la questione dei fertilizzanti. La Bielorussia esporta in grande quantità potassa, che estrae soprattutto dalla miniera di Soligorsk, per circa 3 miliardi di usd l’anno, ma la proprietà della miniera è pubblica e questo “blocca”, secondo gli investitori occidentali, un mercato da 29 mld l’anno. La grande “liberalizzazione” alla Yeltsin aleggia sulla Bielorussia, e potrebbe, in certi settori, essere l’affare del secolo. Uno dei motivi dell’ambiguità dei Servizi locali. Troppo, per non creare un disturbo politico insieme a uno economico.
Il KGB bielorusso ha peraltro stimato che, per “liberalizzare” l’economia di Minsk siano stati “donati” a burocrati e giornalisti bielorussi circa 1,8 miliardi di usd. Con la inevitabile e successiva massificazione della corruzione, peraltro endemica in tutti i Paesi a economia centralizzata. Ma anche quelli a economia “libera” non scherzano affatto. Per questo, a Mosca stanno cercando di mandare al potere Viktor Lukashenko, il figlio del leader e uomo di formazione “gorbacioviana”.
La direzione delle operazioni delle opposizioni sul terreno, in Bielorussia, dovrebbe oggi provenire dall’ambasciata britannica a Varsavia, mentre tedeschi, austriaci e perfino polacchi sono più attenti all’autonomia della Bielorussia, che potrebbe servire, in futuro, anche alla NATO e proprio come cuscinetto verso la Federazione Russa.
Altri blogger, importanti, sono Siarhei Tsikhaunoski, che ha organizzato un canale Youtube intitolato Strana dlya zhizhni, (“Un Paese per vivere”) e poi molti altri, come RB Golovnogo Mozga, Maja Krajna Belarus, Narodny Reportor, tutte piccole strutture artigianali, dai fondi oscuri, che però sono diventati la informazione primaria e massimamente affidabile per gran parte degli abitanti di quel Paese. C’è stata anche l’importante funzione di Radio Free Europe/Belarus e di BelSat, tutte e due operanti da Varsavia.
Si ricordi però che Lukashenko ha accusato Mosca, agli inizi dell’agosto 2020 e quindi poco prima delle elezioni, di complottare, ma senza mai pronunciare chiaramente il nome della Russia, “un colpo di Stato”. Inoltre, la Bielorussia ha chiesto, sempre agli inizi di questo agosto, di far condurre esercitazioni per i riservisti al confine con la Russia, a partire dall’11 del mese.
Lukashenko ha poi accusato, nella campagna elettorale per il suo sesto mandato, “forze esterne” che “vanno oltre le rivoluzioni colorate”. Più chiaro di così. Inoltre, Lukashenko rimarrà al potere, molto probabilmente, malgrado le manifestazioni.
Una non-rivoluzione colorata contro un Paese che non ha particolari inclinazioni verso la Russia, malgrado le recenti richieste di aiuto e la dislocazione di operatori della “guerra ibrida” russi ai confini tra Mosca e Minsk, non ha storia. Nemmeno nella mente iper-semplificata degli occidentali. Inoltre, la Cina potrebbe muovere, in caso di invasione occidentale della Bielorussia, le sue divisioni, che non sono militari, ma economiche, e sarebbero tutte contro la Ue.
Lukashenko ha vinto con l’80,23% dei voti. Nessun voto truccato arriva fino a tanto. Le forze di sicurezza di Minsk hanno finora posto in carcere ben 3000 dirigenti della protesta. A parte le manipolazioni del voto, probabilissime, il sostegno a Lukashenko è calcolato, dai servizi di Minsk, in circa il 48% della popolazione, mentre il resto starebbe posizionandosi tra la rivolta attuale e una sorda opposizione al regime.
Le rivolte contro il regime di Minsk sono un mix tra le manifestazioni contro la leggera risposta alla pandemia da Covid-19 da parte di Lukashenko e le risposte di popolo contro la repressione, sempre da parte di Lukashenko, dei candidati anti-regime.
Ma Lukashenko, e questo potrebbe essere un vero game-changer, ha notato come molti membri dei suoi servizi di sicurezza abbiano seguito attivamente e con simpatia le rivolte sui social media, mentre molti militari di Minsk hanno partecipato alle manifestazioni a favore della Tsikhanouskaya, la principale candidata dell’opposizione, a Brest, il 2 agosto scorso. Da qui, da questo momento, Lukashenko si è dedicato alla propaganda contro le “influenze esterne”, soprattutto, tra le righe, quelle russe.
I Servizi di Minsk hanno infatti arrestato ben 33 operatori della società di contractor militari russa Wagner, il 29 luglio scorso, che la Bielorussia ha detto essere arrivati in loco per “investigare sulle proteste”.
Usa, Russia e Ucraina sono oggi le bêtes noires della propaganda di Lukashenko, e sarebbero queste le tre potenze che, secondo lui, vorrebbero “eliminarlo prima delle elezioni”.
Quindi per la Russia, che vuole controllare la ribelle Bielorussia, vi sono due strade aperte: sostenere Lukashenko nel mentre lo indebolisce, penetrando le strutture della Sicurezza e l’economia, oppure mettere in piedi un nuovo regime.
Putin preferisce la soluzione n.1, il sostegno a Lukashenko, perché questo potrebbe bloccare il meccanismo militare dell’Unione degli Stati Indipendenti post-sovietica oppure creerebbe pericolose ripercussioni sulle operazioni “ibride” del Cremlino in Bielorussia.
Se Mosca si prende Minsk, la pressione della Russia sulla UE sarà sensibile e molto pericolosa, e se Mosca congelerà il regime di Lukashenko, tutto questo sarà un piede fortissimo sulla Polonia e sulla Lituania, un piede tale da controbilanciare le operazioni militari autonome degli Usa in quei Paesi, tutte contro la Russia.
Poi c’è l’economia. La Russia vende alla Bielorussia il petrolio al 20% in meno del prezzo di mercato, e ciclicamente Mosca minaccia di “correggere” le tariffe.
Come oggi, quando Mosca ha rifiutato di continuare le trattative petrolifere fino al 2021.
Ma Minsk ha comprato 80mila tonnellate di Arabian Light dai sauditi, avendo prima comprato petrolio anche dagli Usa e dalla Norvegia.
Per il gas naturale, GAZPROM ha affermato che rinegozierà il prezzo con Minsk solo dopo che la Bielorussia avrà saldato il suo debito di 165 milioni di usd per il gas già fornito.
Ma Lukashenko ha anche accusato Russia e Polonia di “interferire nelle prossime elezioni presidenziali” ed è probabile che l’accusa sia vera per entrambi. E’ questa la chiave “indipendentista” della attuale geopolitica di Minsk.
La Polonia non vuole minacce combinate della Bielorussia in relazione con la Russia, e anzi non vuole che Minsk diventi il corridoio di una invasione, ibrida o meno, del territorio polacco da parte russa, ma Mosca non vuole che Minsk giochi le sue carte con la UE e diventi un potenziale oggetto di penetrazione NATO dello spazio post-sovietico.
E’ probabile peraltro, che candidati di opposizione, come Babariko, uomo della Gazprombank, siano stati sponsorizzato da Mosca. Un primo assaggio per le prossime elezioni. Ma Putin non vuole intervenire in Bielorussia. Le proteste non pongono, finora, nessun pericolo geopolitico per Mosca e non ci sono richieste, da parte degli uomini della Rivolta, di aderire alla Nato o di entrare nella Ue.
Quindi, Putin può o a) sostenere pesantemente Lukashenko, ma Mosca non vuole affatto entrare in un altro punto di crisi, gli bastano quelli che ha già. Peraltro, Mosca non ha mai nascosto la sua freddezza verso il regime di Lukashenko, e i contrasti e i piccoli fastidi tra i due Paesi non si contano. Con un Kgb di Minsk diviso tra i nuovi oligarchi, ai quali il regime non ha mai permesso di espandersi, e una linea di modernizzazione filo-occidentale del sistema, in vista degli affari futuri, ovvero dello smantellamento del sistema pubblico bielorusso. Putin, b) entrerà nel caos bielorusso se e solo percepirà seriamente un pesante coinvolgimento occidentale. Altra possibilità, per Putin, è c) la sostituzione di Lukashenko con qualcun altro, il figlio o un homo novus.
Poi, ancora una eventuale collaborazione tra Russia e EU per risolvere pacificamente la questione di Minsk, e questa sarebbe, al momento, anche se si rumoreggia di entrata delle forze russe in Bielorussia, la soluzione oggi preferita da Vladimir Putin.
Con nuove elezioni, ma anche senza nuova Costituzione, come vorrebbe Lukashenko, e magari candidati filorussi tali da vincere e, soprattutto, tali da catturare i voti dell’opposizione di massa al regime attuale di Minsk.
Ecco la “protezione” della Cina per Minsk, quindi, e il gioco di Lukashenko tra Mosca e la Ue per evitare di essere inglobato nel sistema russo, per il quale, comunque, il ruolo geostrategico della Bielorussia è essenziale.