“Per i progetti in campo e per quelli che vogliamo intraprendere occorre attivare il Mes che è una linea di finanziamento molto più vantaggiosa rispetto alla ricerca di risorse sul mercato. Ed è senza condizioni. Ogni giorno sprecato è imperdonabile”.
A parlare con questo tono risoluto è Nicola Zingaretti, il quale – come potrebbe essere altrimenti – si rivolge al governo, le cui tiritere sulla attivazione del Mes sono diventate. Che cosa è accaduto? Forse il segretario del Pd socio accomandatario della maggioranza di governo ha deciso di impostare quella alleanza strategica – ora possibile dopo il voto sulla Piattaforma Rousseau – su punti di estrema chiarezza? Non sarà questa sollecitazione un ultimatum?
Tranquilli, Zingaretti non si spinge oltre i penultimatum, si lascia sempre una uscita di sicurezza. Nessuno lo ha mai visto bruciare i vascelli alle spalle. Le sue argomentazioni sono fondate: il prestito è conveniente; le risorse sono disponibili a breve; la nostra Sanità è stata in grado di reggere la sfida dell’emergenza, ma potrebbe essere una classica “vittoria di Pirro” perché non si può stare 100 giorni in trincea senza dover pagare dei costi umani e materiali enormi e irrecuperabili nel breve periodo.
Perché non è affatto escluso che il “nemico’” si rifaccia vivo il forze tra qualche settimana, se solo consideriamo i focolai del contagio aperti lungo tutta la Penisola e i rischi che arrivano tramite la ripresa dei viaggi (e se vogliamo anche degli sbarchi). Certo, oggi la struttura ospedaliera è più preparata, si è data dei protocolli e ha sperimentato delle cure, i letti di terapia intensiva sono quasi raddoppiati, la lotta al virus inizia prima, possibilmente a domicilio del paziente, molti casi sono asintomatici o si presentano in forma leggera. Durante l’emergenza gli ospedali erano presi d’assalto da pazienti ormai in condizioni gravissime che necessitavano tutti di terapie intensive e che venivano messi in lista di attesa nei posti disponibili.
Quell’esperienza ha reso evidente l’inadeguatezza della medicina di base e territoriale. Una questione resa drammatica dall’esplosione di un contagio sconosciuto, ma già presente nella gestione ordinaria delle strutture sanitarie.
Era sufficiente avere un problema di salute durante un week end per rendersi conto che erano in campo solo i Pronto Soccorso dei nosocomi. Le politiche sanitarie degli ultimi decenni sono state orientate a criteri e programmi che, alla fine, sono rimasti sulla carta: ridurre il peso della spesa ospedaliera e il numero dei posti letto e potenziare la medicina del territorio quale filtro per l’accesso alla più onerosa struttura ospedaliera.
Il fatto è che il ridimensionamento per quest’ultima c’è stato (e non era sbagliato chiudere piccoli ospedali – anche se strenuamente difesi da quelle comunità circostanti) che non erano in grado di fornire un’assistenza adeguata), mentre è decaduta la figura del medico di base che ha finito per essere un distributore di farmaci e di accertamenti diagnostici. Poi c’è un altro problema che fingiamo di dimenticare. Ed è vero che la sanità pubblica ha retto e superato l’emergenza; ma quante sono le energie e le risorse destinate alla lotta al coronavirus? Quanti sono i letti riconvertiti alla terapia intensiva che sono stati sottratti alla cura di altre patologie ben più gravi e complesse del covid-19? Quanti sono stati gli interventi chirurgici rimandati e le visite specialistiche vittime di liste di attesa divenute più lunghe?
Poi c’è la questione della scuola, affrontata anch’essa da Zingaretti, nella strana veste di osservatore delle cose che succedono nel nostro Paese e non di protagonista e responsabile del loro esito. Noi stiamo correndo a marce forzate verso una mancata riapertura delle scuole, soltanto perché non siamo in grado di procurare agli studenti un ambiente in sicurezza (i presidi hanno ragione a chiedere lo scudo penale, dopo l’esperienza toccata ai dirigenti sanitari).
E questo sarebbe un fatto gravissimo, non tanto perché i genitori non saprebbero a chi affidare i figli quando vanno al lavoro. L’idea di considerare la scuola come un luogo di parcheggio dei figli non è affatto gratificante. L’istruzione è un diritto fondamentale del cittadino. Non si possono perdere degli anni di studio portandosi appresso, per tutto il periodo formativo, lacune “tollerate’” negli esami e nelle valutazioni successive (si pensi agli esami di maturità di quest’anno).
Vi fu un tempo in cui i “movimenti” pretendevano il voto politico; oggi rischiamo di vedere i nostri figli promossi – a loro insaputa – col voto del contagio. Sanificare le scuole è un obiettivo compatibile con la richiesta del Mes. Perché rinunciarvi senza un valido motivo? Per favore, smettiamo di attribuire la dignità alle forze politiche “che fanno melina”. Al massimo si tratta di un capriccio, che in politica non è ammesso.
Un’ultima considerazione a proposito delle misure adottate recentemente dal governo. Non è serio cambiare le regole dopo che le aziende, impegnate in attività economiche di intrattenimento, hanno impiegato risorse per adempiere alle direttive previgenti: è il caso delle discoteche, chiuse il giorno della riapertura. E quindi senza accertare sul campo se le misure di prevenzione, imposte dai protocolli, erano state adottate ed erano valide per la tutela della salute. Lo stesso è capitato con i convogli ferroviari AV, riportati al vincolo di un carico limitato nel pomeriggio precedente l’ora X.