Il Ciae (Comitato interministeriale per gli affari europei) ha iniziato ad espletare il suo nuovo compito attribuitogli dal presidente del Consiglio: elaborare piani e gestire le risorse economiche provenienti dal Recovery fund (circa 200 miliardi).
Compito che, nel nostro ordinamento giuridico spetterebbe al Consiglio dei ministri o tutt’al più al Cipe, l’uno e l’altro luoghi della collegialità di governo trasparente. Per capire, occorrono prima poche parole di spiegazione su questo organo.
Il Ciae è stato costituito presso la presidenza del Consiglio dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea).
Fin dalla denominazione si comprende che esso ha come funzione quella di concordare le linee politiche del governo per la partecipazione dell’Italia alla fase ascendente della produzione normativa della Ue. La fase, in pratica, nella quale sulla base del programma stilato dalla Commissione le varie Ddgg preparano le direttive o i regolamenti o comunque gli atti europei.
È convocato e presieduto dal presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, dal ministro per le Politiche Europee e vi partecipano sempre il ministro degli Affari esteri e il ministro dell’Economia e delle finanze, mentre tutti gli altri ministri solo quando sono invitati in occasione della trattazione di materie di loro competenza.
Possono essere invitati anche il presidente della Conferenza delle regioni, dell’Associazione nazionale dei comuni italiani e dell’Unione delle province d’Italia quando vengono trattate materie di loro competenza.
Come si vede è un organismo che ha compiti diversi e non omologabili con quelli di gestione, anche politica, di risorse. L’idea di attribuirgli la competenza alla programmazione e gestione delle spese coperte da Recovery fund è talmente bizzarra, fuori luogo, francamente assurda (come attribuire al ministero della Difesa le campagne agricole a favore delle nettarine) che evidentemente nasconde un retro pensiero e uno scopo interessato.
Occorre chiedersi quale, e si comincia a comprenderlo se si pensa che il presidente reale dell’organo, perché di fatto sempre delegato a presiederlo, è il ministro delle Politiche Europee, attualmente l’on. Vincenzo Amendola, dirigente di partito del Pd, quindi pretoriano di ferro della forza politica che aspira ad essere il vero governo del Paese. Si aggiunga che anche il Mef è in quota Pd, e che rimarrebbe l’unico esponente 5S del ministro degli Affari Esteri a presidiare il bidone.
Il valore aggiunto di questa soluzione sta quindi nella composizione dell’organo. Di fatto esso è un direttorio formato da tre persone. Gli altri ministri sono chiamati dal presidente solo ove si tratti di materie di loro competenza, come anche i rappresentanti degli enti locali. Per gli scopi originari questa formula era ragionevole, ma per gestire i fondi è inquietante.
L’impressione che qualcuno si sia guardato intorno e abbia afferrato il primo organo a portata di mano per affidargli l’incarico, sarebbe erronea. Il progetto è fine. Di fatto, il Ciae permette una gestione quasi segreta dei fondi, nella più assoluta riservatezza anche all’interno del medesimo governo, stante la mancata partecipazione alle riunioni di tutti i ministri in contemporanea anche quando si trattano fondi di competenza di altri ministeri, come avviene in Cdm o nel Cipe.
La definizione di linee di politica economica nazionale e di piani e programmi che la conducono a compimento, specie se in occasione della disponibilità di così ingenti risorse trasferite al nostro bilancio pari alla somma di diverse leggi di stabilità, deve essere presa necessariamente con l’assunzione di responsabilità politica collegiale. Nel confronto e anche nello scontro di interessi pubblici di cui ciascun ministro è portatore si raggiunge la condivisione di una politica generale, di cui ogni ministro assume poi la propria responsabilità per i singoli atti.
Per non parlare della trasparenza delle istruttorie e delle decisioni, che sono assicurate nei lavori del Consiglio dei ministri o del Cipe, ma non certo all’interno di un organo così ristretto e autoreferenziale.
La visione unitaria della gestione di queste ingentissime risorse è indispensabile, ma all’interno di un organismo così ristretto e sostanzialmente segreto nei suoi lavori, questa visione si perde a favore, nel migliore dei casi, di visioni parcellizzate e non coordinate, il che conduce ad una erronea allocazione delle risorse, nel peggiore, a gestioni interessate, che bene si prestano a utilizzazioni a favore degli amici o elettorali. Sempre ad una assenza totale di trasparenza e informazioni.