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Colpirne uno per educarne cento. Andornino legge le purghe di Xi

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L’ultimo ciclo di epurazioni del presidente cinese Xi Jinping ha colpito polizia e settore giudiziario, rivela il Wall Street Journal: dozzine di funzionari già arrestati, tra loro anche uno dei vertici della città di Shanghai, come raccontato da Caixin.

Come osserva Foreign Policy, Xi “ha fatto di questo tipo di repressioni radicali una caratteristica centrale del suo governo, a cominciare dall’eliminazione dei suoi principali rivali politici dopo aver preso il potere e continuando con istituzioni chiave, come le imprese statali e le forze armate”.

Secondo i difensori del leader non si tratta di purghe bensì della lotta contro la corruzione. “Ma le repressioni anti-corruzione condotte sotto gli auspici del Partito comunista cinese tendono a seguire un modello familiare”, nota Foreign Policy. “Il prezzo dei beni di lusso — un utile proxy per la corruzione, dal momento che le tangenti spesso comportano scambi di beni di lusso — è sceso durante i primi cicli di epurazioni di Xi e poi ha raggiunto livelli record prima della pandemia di coronavirus”. Tra “paranoia ideologica, approcci da yes-man e un crescente culto della personalità”, continua la rivista, l’intero sistema è “bloccato”.

Le voci critiche verso la leadership sono molte. Recentissimo è il caso, raccontato da Formiche.net, di Cai Xia, per 15 anni docente alla scuola d’élite del Partito comunista cinese, che l’ha espulsa dopo le sue accuse verso il presidente Xi di aver “ucciso il Paese”. Ora è negli Stati Uniti e dice: “Credo di non essere l’unica a voler lasciare questo Partito. Molte persone vorrebbero ritirarsi o lasciarlo”.

“Il Partito comunista cinese conferma la propria volontà — e capacità — di vigilare sulla disciplina degli apparati di pubblica sicurezza, sia per reprimere fenomeni di corruzione, sia per assicurarne la fedeltà al Partito”, spiega Giovani Andornino, docente dell’Università di Torino e direttore del TOChina Hub, a Formiche.net. “È questo il senso della vasta pubblicità che ha accompagnato questa serie di indagini, arresti e rimozioni: da una parte, si vuole rassicurare la società cinese rispetto al fatto che il Partito lavora seriamente per stabilire una forma di legalità socialista nel Paese. Dall’altra, vale il detto ‘colpirne uno per educarne cento’: tutti gli apparati pubblici, e non solo, sono chiamati a ricordare che il Partito avoca a sé il ruolo di guida di tutte le energie della società e non ammette devianze”.

Le purghe in Cina non sono certo una novità. “I precedenti sono molti”, spiega Andornino. “Tipicamente, all’avvento di una nuova leadership ai vertici del Partito fa seguito un’operazione anti-corruzione negli apparati pubblici. In parte questo serve a rafforzare le credenziali dei nuovi detentori del potere in quanto tutori della caratura etica del Partito, in parte è utile per favorire il ricambio di personale politico troppo compromesso. Nel caso di Xi sappiamo che sin dal suo avvento al potere nel 2012 ha perseguito una delle più pervasive campagne di ostracizzazione di quadri e membri di partito che non rispondessero ai necessari requisiti di affidabilità”.

Siamo davanti a una resa dei conti interna al potere cinese dopo il coronavirus e il rallentamento dell’economia? Risponde Andornino: “Quando penso a rese dei conti politiche interne mi vengono alla mente figure di potere apicali come Zhou Yongkang e Sun Zhengcai, entrambi rimossi e condannati a lunghe pene detentive nonostante le pervasive reti di supporto su cui potevano contare. Questo avveniva prima della pandemia e del rallentamento dell’economia e segue logiche diverse per noi in gran parte imperscrutabili. Se vi saranno ulteriori vicende di quella portata, tali da rendere palesi alcune delle tensioni tra fazioni interne al Partito, lo vedremo eventualmente dopo le elezioni negli Stati Uniti”.

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