Anna Finocchiaro l’ha già dichiarato e argomentato, voterà No al referendum sul taglio dei parlamentari, malgrado non sia totalmente contraria, in linea di principio. Lo spiega con pacatezza in una conversazione con Formiche.net la più volte deputata e senatrice, ministra per i Rapporti con il Parlamento e per le Pari Opportunità, nonché presidente della commissione Affari Costituzionali all’epoca della riforma Renzi-Boschi. Non è contro il taglio di per sé, spiega, come ha dimostrato il Sì alla riforma del 2016 che prevedeva la riduzione del numero degli eletti, ma non in modo lineare. La differenza, spiega, è che con la riforma attuale non è previsto nessun bilanciamento, ma non solo. Che chiunque pensi, anche tra i costituzionalisti che in questi giorni si sono espressi a favore del Sì, che il lavoro delle Camere non sarebbe compromesso sbaglia: “Il Parlamento sarà vulnerato nella sua rappresentatività e nella sua efficienza, e lo dico con 32 anni di esperienza parlamentare alle spalle tra Camera, Senato e Commissioni”. E questo, aggiunge, “andrà a incrementare il sentimento di antiparlamentarismo che è sotterraneo anche nella campagna per il taglio dei parlamentari”. E sulla legge elettorale…
Finocchiaro, perché taglio e correttivi non la convincono?
Io non sono contraria alla riduzione del numero dei parlamentari, e l’ho dimostrato appoggiando la riforma Boschi-Renzi, ma quella del 2016 era una riduzione del numero dei senatori inserita in una riforma costituzionale che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto.
E allora?
E allora quello previsto nel 2016 era un sistema nel quale si dava una rappresentanza, la più alta possibile, alle istituzioni regionali – che come abbiamo visto anche in questi ultimi mesi hanno un peso straordinario nella vita politica istituzionale, politica e sociale del Paese – e si prevedevano, poi 630 deputati.
In questo caso, invece?
In questo caso si fa un taglio dei parlamentari lineare pensando che le Camere possano funzionare con 400 deputati e 200 senatori, ma la realtà è che così il sistema parlamentare non può funzionare, né sotto il profilo della rappresentanza, né sotto quello della funzionalità.
Parliamo della prima: una nuova legge elettorale come quella in discussione potrebbe porre rimedio al deficit di rappresentanza?
Le dico tre cose. In primo luogo le faccio presente che siamo a meno di quattro settimane dal voto per le elezioni regionali e il testo di cui parla non arriverà in aula certamente prima del 20 settembre. In secondo luogo, una legge elettorale proporzionale con una soglia di sbarramento può attenuare ma non eliminare gli effetti negativi sulla rappresentanza.
La terza?
La terza è che la legge elettorale è una legge ordinaria e oggi questa maggioranza fa una legge proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%, domani un’altra maggioranza può fare un’altra legge con cui incidere pesantemente sulla rappresentatività del Senato.
Alla questione legge elettorale però il segretario del Pd Zingaretti ha legato la posizione del suo partito. Non c’è il rischio che questa indecisione evidenzi una debolezza del Pd, a prescindere da come andrà il referendum?
Io non faccio più politica attiva, ma mi pare che il segretario del Partito democratico abbia rimesso in campo il patto originario siglato con il Movimento 5 Stelle. Questo patto non è stato ancora onorato e viene impugnato dal segretario del Pd a meno di quattro settimane dal voto: questo dimostra che quel patto non è stato coltivato.
La maggioranza, sulla legge elettorale, deve superare anche lo scoglio incarnato dalla posizione di Italia Viva. Lei nel 2016 alla guida della Commissione Affari costituzionali lavorò con Renzi e Boschi portando avanti i lavori della Commissione. Pensa che da lui ci si debba aspettare sorprese?
Guardi, le leggi elettorali quando vengono votate possono sempre riservare delle sorprese perché essendo previsto il voto segreto può succedere di tutto. Mi pare ovvio, però, che il segretario di un partito come Italia viva che ha una consistenza elettorale che è stimata al massimo al 5% abbia tutto l’interesse ad ottenere condizioni nella legge elettorale che gli consentano di avere un minimo di successo e quindi una soglia di rappresentanza più bassa di quella del 5% fissata finora dall’accordo di maggioranza.
Un compromesso tra M5S, Pd e Italia Viva sulla soglia di sbarramento al di sotto del 5% potrebbe far arrivare, come ha chiesto Zingaretti, la legge elettorale alla Camera?
Non ho la percezione di quale sia il livello della contrattazione. Io leggo dai giornali che si potrebbe arrivare a un abbassamento della soglia.
Facciamo un salto in avanti, al 22 settembre: vince il Sì al taglio dei parlamentari. Quali conseguenze potrebbero esserci sul governo?
Questa delle conseguenze sul governo è una domanda che sento ricorrere molto spesso, ma è una domanda che trascura un dato essenziale: la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari è stata votata non soltanto dai partiti della maggioranza, ma anche da tutti i partiti dell’opposizione. È stata votata da Forza Italia, è stata votata dalla Lega, da Fratelli d’Italia. Dunque ipotizzare conseguenze da un voto contrario espresso dal referendum a me francamente parrebbe strano. Le conseguenze casomai si misureranno rispetto ai partiti che hanno sostenuto il Sì alla riforma e ricordo che il Sì alla riforma è stato sostenuto da tutti. Hanno votato sì in Aula, che vogliono (ride, ndr).
Se vince il sì, ci sarà anche il nodo dell’elezione del Presidente della Repubblica…
Beh, se cambia la composizione del Parlamento con 200 senatori l’elezione del Capo dello Stato inizia a diventare complicata sotto vari profili, compreso quello che riguarda lo squilibrio che si crea tra i rappresentanti delegati delle Regioni e i componenti del Senato. Il che dimostra che la Costituzione take away non funziona.
Cosa intende?
La Costituzione non è un take away da cui puoi prendere quello che ti piace e cambiare quello che non ti piace. La Costituzione è un sistema delicato, sofisticato, fatto di pesi, contrappesi, di un insieme di cautele che i costituenti adottarono perché il sistema stesse in equilibrio e non ci fosse uno sbilanciamento di posizioni di un potere rispetto all’altro. È ovvio che queste sono questioni sulle quali riflettere, ma il rimandare, il dire “poi faremo”, “poi vedremo”, “poi riformeremo”, non tiene conto della complessità e delicatezza del sistema costituzionale.
Ritorniamo nuovamente al 22 settembre: a vincere è il No. Che succede?
Sicuramente la vittoria del No avrebbe una ripercussione politica sul Movimento 5 Stelle, che si è intestato questa riforma e che quindi ne pagherebbe un prezzo politico. Io però non credo che andrà così. Me lo auguro (ride, ndr), ma allo stato attuale mi pare che i numeri non vadano in questa direzione. Credo però anche che sul governo non potranno arrivare rimostranze da quelle opposizioni che in Parlamento hanno già votato la riforma. E poi penso un’altra cosa.
Prego.
Penso che questo governo certamente avrebbe delle difficoltà al proprio interno, considerato che anche all’interno di M5S si stanno manifestando posizioni per il no, ed è un dato da non sottovalutare, ma l’esecutivo ha certamente tanti altri capitoli più importanti su cui lavorare, di grande impegno e di grande importanza per il Paese. Francamente credo che sia questo il cuore delle questioni, penso ai temi economici, alla scuola, al lavoro, che tutti ci auguriamo il governo riesca ad affrontare con efficienza e con efficacia nei prossimi mesi.
Se passeranno i Sì sarà davvero a rischio il ruolo del Parlamento?
Credo che questa riforma metterà in grande difficoltà il Parlamento, che è messo alla prova anche da tanto altro come hanno dimostrato questi mesi con provvedimenti che venivano definiti in una Camera e l’altra si limitava a ratificarli.
A cosa si riferisce?
Mi riferisco alla conversione in legge dei molti decreti che sono intervenuti in questo periodo. Ma tornando alla domanda precedente, da un voto positivo al referendum il Parlamento resterebbe a mio avviso vulnerato nella sua rappresentatività e nella sua efficienza, e lo dico rispondendo ai costituzionalisti che sostengono che proprio l’efficienza non verrebbe compromessa. Con 32 anni di esperienza parlamentare alle spalle tra Camera, Senato e Commissioni posso dire che la sua efficienza verrebbe minata e questo non farebbe altro che accentuare quella critica del parlamentarismo che è sotterranea anche alla campagna per il taglio dei parlamentari.