Grande merito di Marta Cartabia sta nel fatto che la sua Lectio Magistralis su De Gasperi ha sfatato la leggenda sul presunto disinteresse dello statista trentino per i lavori della Costituente. Non vi sarebbe traccia, secondo questa vecchia interpretazione critica, di un autentico disegno costituzionale ad opera dell’uomo della Ricostruzione del Paese.
Invece, attraverso una succinta ma rigorosa analisi dell’azione degasperiana, la Presidente della Corte Costituzionale mette in evidenza il tratto distintivo di un’operazione politica complessa entro cui si legge, a distanza di tempo, il contributo del leader democristiano alla “ricostruzione costituzionale” dell’Italia.
A conferma di questa tesi soccorre la memoria di una precisa indicazione che De Gasperi volle dare ai costituenti del suo partito affinché fosse salvaguardato il sistema delle garanzie in una fase dominata dall’incertezza sul futuro governo della nazione.
In una importante riunione, tenuta a settembre del 1946 nel convento dei padri passionisti dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, egli fu risoluto nel chiedere massima attenzione nel definire equilibri e bilanciamenti di potere, così d’assicurare che le norme fondamentali della convivenza democratica non autorizzassero torsioni in senso autoritario ad opera dei partiti a vocazione rivoluzionaria. Di qui la polemica, tuttora presente nel dibattito politico, sul vizio originario della nostra Costituzione a motivo del suo eccesso di garantismo.
In quel momento, De Gasperi contrastò l’ipotesi del presidenzalismo o del premierato, ravvisando nella forza della politica la vera forza del governo. Ora si tratta di capire, alla luce di una serena valutazione politica, se questa impronta degasperiana possa essere rimossa attraverso revisioni di vario genere del nostro impianto costituzionale, anche senza formalmente erodere gli intangibili principi fondamentali della prima parte della Carta.
Certamente, abbiamo per nostra fortuna alle spalle le fratture e gli scontri della Guerra fredda, ma le preoccupazioni odierne a riguardo del populismo e del sovranismo – incombenti pericoli della post democrazia – non inducono a svalutare con supponenza la rigida intelaiatura del disegno costituzionale. In questo senso, la lezione degasperiana implica un giudizio meno labile o superficiale sui rischi d’indebolimento della democrazia parlamentare.
Dunque, qualche ragione esiste per andare oltre la Lectio della Cartabia e anche oltre, pertanto, la pura e fredda ricognizione storica dei fattori che identificano la grande esperienza degasperiana. È lecito tirare le somme, in piena libertà di pensiero, per affrontare bene le sfide del presente. In ogni caso, con tale libertà non deve venir meno il dovere della coerenza.
Sta di fatto che il prossimo referendum sul taglio di Deputati e Senatori condensa le ragioni di un allarme e illumina i motivi di un rifiuto. In astratto la riduzione di 300 parlamentari non segna un regresso o una violazione, ma getta un’ombra su questo scenario di aggressiva e scoordinata semplificazione, dietro cui fa capolino l’innesco di un processo forzoso, e quindi inammissibile anche solo sul piano della forma, in direzione del bipartitismo.
Non si vede, perciò, come questa contrazione della rappresentanza popolare rientri nella eredità morale di un modello alla De Gasperi, quando per l’appunto vigeva in quel modello il fedele rispecchiamento del pluralismo e la tutela delle istanze ad esso collegate.
L’efficienza del sistema, obiettivo legittimo di una sana e moderna democrazia, non si realizza con lo svilimento della partecipazione, alterando oltre misura il rapporto tra numero di eletti e base elettorale. L’emergenza sanitaria, causa nel mondo di un crollo senza precedenti dell’economia, impone il pieno riscatto della politica. Non ci sono scorciatoie, né surrogati di ingegneria istituzionale. Sulla scorta della Lectio di quest’anno, De Gasperi accompagna con l’esempio della sua formidabile opera di governo la ricerca di una via altrettanto valida e generosa per l’attuale Seconda Ricostruzione del Paese.
Torna l’eco di un primato ineliminabile della politica.