Dieci anni di politica intensissima, interna e internazionale, un’attività frenetica anche quando non era al governo, retroscena, aneddoti e un punto fermo: la famiglia. C’è un lungo lavoro di ricerca dietro al libro di Giulio Andreotti I diari segreti 1979-1989 (Solferino), curato da Serena e Stefano Andreotti, due dei quattro figli del senatore.
In questa intervista, Serena Andreotti racconta la sorpresa nella scoperta di fatti sconosciuti, la decisione di pubblicare quei diari partendo dalla vera ricostruzione sulle foto scattate di nascosto a Giovanni Paolo II nella piscina di Castelgandolfo che Andreotti non fece pubblicare e l’importanza della famiglia, soprattutto durante il processo per mafia: “Gli abbiamo creato uno scudo di protezione molto importante”.
Nella nota dei curatori scrivete di aver scoperto attività che vi erano ignote. Quali sono?
Parecchi suoi contatti internazionali ci erano sfuggiti. Sapevamo che si dedicava moltissimo all’Unione interparlamentare, ma che fosse a capo di una commissione e che per questo avesse contatti ravvicinati con personalità sovietiche non lo sapevamo, anche se parlavamo pochissimo di politica a casa, soprattutto nel periodo che abbiamo trattato. Tra il 1979 e il 1983, quando non era al governo ed era presidente della commissione Esteri del Senato, aveva un’attività frenetica come quando stava al governo: per noi vedere tutti questi incontri, più volte al giorno con personalità italiane e straniere, è stato sorprendente e forse lo sarà per tutti.
La decisione di pubblicare questi diari è dipesa dalla volontà di farlo conoscere meglio?
Alla base c’è questo, ma in particolare ci ha spinto un episodio riguardo al suo interessamento per la non pubblicazione di certe fotografie che erano state scattate di nascosto a papa Wojtyla nel 1980 e del quale avevamo letto un resoconto assolutamente falso, cioè che quelle foto gliele aveva portate Umberto Ortolani e che dunque ci fosse la loggia P2 di mezzo. Invece ero stata testimone di quanto avvenuto: era estate ed eravamo a Merano quando venne a parlargli monsignor Eduardo Martínez Somalo della Segreteria di Stato. Trovando il diario di quei giorni, in cui tutto è ricostruito nei dettagli, abbiamo deciso di pubblicare il decennio agosto 1979 – luglio 1989, tra l’uscita da Palazzo Chigi e il ritorno come presidente del Consiglio.
L’abitudine di scrivere un diario dal 1944 lo ha aiutato nelle scelte fatte nel corso degli anni, potendo rileggere ciò che era effettivamente avvenuto?
L’ha aiutato in maniera sostanziale durante il processo per mafia perché ogni volta che un pentito citava una data lui dimostrava con il suo diario dove si trovava davvero e quello che aveva fatto. Indubbiamente, quando si presentava a una persona che aveva già visto e ricordava tutto quello che si erano detti, era un aiuto non indifferente che doveva ai diari.
Nell’introduzione Andrea Riccardi ricorda di averlo definito il “cardinale esterno” visti i suoi strettissimi rapporti con il Vaticano. In famiglia come giudicate questa definizione?
Se la leggiamo in maniera positiva ci piace perché aveva rapporti costanti e devoti con la Santa Sede. Se la vediamo in negativo, come una specie di attività un po’ truffaldina per difendere gli affari del Vaticano, non ci piace più. Riccardi la intende in senso positivo, quindi ci piace molto, e a mio padre essere cardinale sarebbe indubbiamente piaciuto.
Riccardi ricorda anche che il presidente Andreotti era convinto che il dialogo e il negoziato fossero decisivi per uscire dalla guerra fredda. È difficile dirlo, ma crede che userebbe lo stesso metodo per uscire dalle attuali guerre fredde?
Penso di sì, tutte le volte che vediamo ciò che accade in Siria, in Libano, in Libia ci accorgiamo che non è cambiato niente mentre lui ha sempre cercato il dialogo in quelle regioni. Credo che il dialogo sia l’unica via, anche all’interno.
Lei e suo fratello scrivete che Alcide De Gasperi è sempre stata la sua stella polare e che aveva ottimi rapporti con i leader degli altri partiti. C’è qualcuno di questi leader che lo deluse?
Forse qualche collega di partito, ma rientrava nelle dinamiche politiche. Ha subito degli sgambetti e anche lui li ha fatti, più o meno volontariamente.
Nei diari emerge anche il ruolo della famiglia, solido punto di riferimento forse ancora di più perché la politica lo teneva spesso lontano.
È sempre stato così, in qualunque momento a casa era contento, con figli e nipoti. Non potendo mai trascurare la fase del processo, la famiglia è stata la sua salvezza in quegli anni. Gli abbiamo creato uno scudo di protezione molto importante.
Anche se il vostro lavoro è stato duro, possiamo sperare nella pubblicazione del decennio successivo, fino al 2000?
È stata una bella faticata, ma oltre alle agende abbiamo dovuto effettuare i riscontri con quello che c’è nell’archivio all’Istituto Sturzo, il cui inventario procede molto lentamente e dunque proseguire dipenderà anche dal lavoro dell’archivio stesso. Il progetto che avevamo pensato e poi abbandonato riguardava il periodo della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale e la sua collaborazione con De Gasperi. È stato un momento epico.
Per ora dunque nessuna decisione?
Ora ci prendiamo una pausa, poi le valutazioni potranno essere diverse, a cominciare dal riscontro e dall’interesse che susciteranno questi diari. Inoltre, fino al 1992 papà era un protagonista, poi è cambiato tutto e quindi dobbiamo discuterne ancora.
La prima riga del diario, 6 agosto 1979, riporta un fatto minimo, ma significativo: il marito della donna delle pulizie che, da non democristiano, è sorpreso nel vedere Andreotti al lavoro alle 7.30, e anche la domenica, e suo padre ringrazia Dio “per aver fatto comprendere alle persone semplici la verità”. Un’ironia che può essere di lezione alla classe politica attuale?
Rispecchia il suo modo di agire e di pensare, concreto e chiaro. Detestava il politichese, le sofisticherie.
Studiando queste carte ha conosciuto meglio suo padre?
Direi di no, abbiamo conosciuto di più la sua attività politica, ma credo di averlo conosciuto benissimo. Nei periodi migliori i pranzi di famiglia erano una cosa fantastica: si discuteva di tutto, lui parlava di chi aveva incontrato, raccontava aneddoti. Era veramente piacevole, ma papà è stato importante sempre, in tutti i periodi.