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Il disagio cattolico e la sua cura. La riflessione di D’Ambrosio

Dopo la crisi del Covid-19 tutto sarà diverso: vale anche per la Chiesa cattolica italiana? È innegabile che nelle comunità cattoliche ci siano fedeli e pastori (alcuni preti e pochissimi vescovi) che percepiscono un forte senso di disagio per alcune posizioni ufficiali, per l’opposizione al magistero di Francesco, per la marginalizzazione del laicato, per posizioni etiche e politiche poco cristiane, per la mancanza di trasparenza amministrativa, per l’ostilità verso ultimi e stranieri e via discorrendo. Molti di questi si “consolano” citando papa Francesco, o attingendo a maestri conciliari quali Mazzolari, Milani, Martini, Moro, Bachelet, Bello o cercando rifugio in quelle (poche) realtà parrocchiali e associative qualificate e qualificanti.

La crisi comunitaria. Il disagio, inoltre, è esasperato da atteggiamenti quali: pastori interessati a denaro e prestigio più che all’aver cura dei fedeli; scandali nascosti continuamente (non solo i casi di pedofilia); omelie e catechesi vuote e insignificanti; laici clericali e asserviti alla gerarchia; costanti richiami a temi di etica personale, familiare e sessuale e voluto oblio dei temi sociali della giustizia e della pace, della lotta alla corruzione e della tutela degli ultimi, specie migranti; connivenze politiche, per lo più con la destra più becera e razzista. Questo disagio è ancora tutto li e la crisi sanitaria lo ha messo solo in sordina. E alla ripresa – si pensi al prossimo settembre – ritornerà con tutte le lacerazioni che produce.

Scelte alternative. Per non sentire questo disagio diversi cattolici partecipano il meno possibile alla vita comunitaria; cambiano chiesa per partecipare a una messa dignitosa e ascoltare un’omelia decente; se tutto va bene riescono a fare riferimento ad amici o a un gruppo dove si può approfondire il Vangelo seriamente. Nel caso del clero il disagio diventa ancora più profondo perché sono diversi i preti che si ritrovano ad essere emarginati e ammoniti dai superiori perché credono in un modello di Chiesa più autentica, che non è quello che dice papa Francesco, ma che dice il Vangelo (e il papa non fa altro che ricordarlo).

È difficile quantificare questo fenomeno: forse non riguarda la maggioranza delle realtà cattolica italiana, ma una buona metà forse sì, in alcune zone anche più di metà. E ciò non vale solo per l’Italia ma anche per alcune Chiese cattoliche in Europa e in Nordamerica. La Chiesa è una realtà gerarchica e anche le responsabilità sono distribuite gerarchicamente: vescovi, preti, consacrati, fedeli laici. Senza escludere nessuno perché la comunità appartiene a tutti e tutti abbiamo le nostre responsabilità, chi più, chi meno. Un buon laicato genera un buon clero (e da esso un episcopato). E viceversa un buon clero (ed episcopato) genera un buon laicato. La storia dei maestri conciliari è ancora un fulgido esempio, anche in ciò.

Il “medico” discusso. Ogni disagio può avere un medico e una cura. Il “medico” papa Francesco potrebbe essere un ottimo medico e la sua cura potrebbe essere anche vincente. Tuttavia per diversi non è proprio così, anzi l’esatto contrario. Infatti la sua proposta di seguire l’Evangelii gaudium come testo di “cura” e i suoi ripetuti richiami ad indire un sinodo italiano sui temi del disagio sembrano essere caduti di fatto nel vuoto. Anche qui le responsabilità vanno individuate in linea gerarchica. Si è giunti all’assurdo che ci sono ambienti cattolici dove il citare il papa è visto con sospetto, porta ad essere tacciati con i soliti appellativi usati nel passato (eretico, comunista, modernista, pauperista ecc). In una situazione così bloccata, per evitare un corto circuito comunitario, abbiamo il dovere di ricercare delle soluzioni efficaci. Penso in modo particolare a due di esse.

I luoghi sani. Dobbiamo onestamente riconoscere che molto del nostro laicato organizzato, negli ultimi trent’anni, ha subito un processo di clericalizzazione spaventosa. Se si scorge il solo titolo di incontri, la loro impostazione, si noterà che spesso sono organizzati solo per rinforzare una visione di Chiesa anticonciliare: certo qualche citazione del papa Francesco non manca, ma la sostanza è quella di cui sopra. Lo stesso dicasi per istituzioni accademiche cattoliche, ordini religiosi, diocesi dove la riforma è ben lontana dall’essere attuata. Se c’è un disagio, invece, se ne deve parlare con scienza e coscienza, moltiplicare i luoghi e i tempi dove farlo, ascoltare testimonianze di tutti, dialogare sul modello di Chiesa più evangelico per l’oggi. E se non sono i pastori ad organizzare lo facciano il laici.

I costi della riforma ecclesiale. La riforma che il papa propone non ha solo agguerriti oppositori e convinti realizzatori, ha anche un partito di “ambigui”, che non parlano mai chiaro e che non scontentano mai nessuno (il parroco o il vescovo o il loro superiore). Essi hanno sempre interessi da difendere (famiglia, lavoro, carriera ecclesiastica) e si guardano bene dal “mettere la faccia”. Per loro la riforma ecclesiale è un argomento da salotto, da appoggiare finché non lede gli interessi personali. Di fatto sono peggiori degli oppositori della riforma, almeno questi hanno il coraggio di venire allo scoperto e di dire quello che pensano. Ogni riforma è sempre costata qualcosa, a singoli come a gruppi. È uno dei segni della sua autenticità.

Nonostante tutto, credo questo periodo ecclesiale non sia totalmente negativo. Anzi. Purché si conservi quell’autenticità di cui Milani era maestro: “Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza. Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno Grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo. La gente viene a Dio solo se Dio ce la chiama. E se invece che Dio la chiama il prete (cioè l’uomo, il simpatico, il ping-pong) allora la gente viene all’uomo e non trova Dio”.

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