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Draghi? Un discorso di sistema, da cittadino del mondo. Parla Ferruccio de Bortoli

È chiaro che oggi dobbiamo intervenire per tutelare le situazioni contingenti con sussidi e bonus. Ma non dureranno in eterno e il debito che accumuleremo dovrà essere pagato dai nostri figli e nipoti. È questo il messaggio forte di Mario Draghi dal Meeting di Rimini secondo Ferruccio de Bortoli, editorialista e già direttore del Corriere della Sera.

DEBITO BUONO E DEBITO CATTIVO

Parlando con Formiche.net de Bortoli inizia sottolineando un elemento: “Draghi ha introdotto una distinzione molto importante tra debito buono e debito cattivo. Forse avrebbe dovuto, con maggiore coraggio, spiegare se in questi ultimi anni abbiamo fatto debito buono o cattivo. Anche perché, aggiungo io, l’unica riduzione di spesa pubblica fatta in Italia è stata quella resa possibile dal risparmio sul servizio del debito ottenuto grazie alla politica monetaria dalla Banca centrale europea diretta proprio da lui”.

Ma secondo de Bortoli il discorso dell’ex governatore della Bce non conteneva alcun messaggio diretto al governo italiano. “Draghi è persona di strema prudenza”, ripete più volte nella conversazione. “E, anche se in congedo, si comporta da banchiere centrale: misura in maniera costante le parole”.

L’ITALIA NEL DISCORSO DELL’EX GOVERNATORE

“Credo sia sterile attribuire a Draghi una furbizia tattica politica”, dice de Bortoli. “Sapeva del rischio che il suo discorso venisse letto in chiave interna. Così l’ha volutamente tenuto distante dal Paese dando moniti generali: pensiate più ai giovani e meno alle corporazioni, non crediate che si possa vivere di bonus e sussidi in eterno, che ci possano essere uno Stato imprenditore di ultima istanza e una condizione economica totalmente risarcitoria nei confronti delle categorie che sono state colpite dalla pandemia”.

Stesso discorso vale per il Mes, ma non solo. “Se Draghi avesse fatto riferimento al Mes — che ovviamente crede sia giusto utilizzare — avrebbe messo i piedi nel piatto”, aggiunge de Bortoli. “La critica al populismo nostrano è stata mediata da quella al populismo europeo e americano. Il tema del debito buono e debito cattivo è stato richiamato in termini assoluti. Ha sempre fatto un discorso di sistema. Parlando più da cittadino del mondo che da cittadino italiano”.

LA CRITICA ALL’EUROPA

C’è, invece una critica complessiva all’Europa, evidenzia de Bortoli. Quando Draghi dice “il cosiddetto metodo intergovernativo, la Commissione è ritornata al centro dell’azione”. Ma anche quando spiega che “il riconoscimento del ruolo che un bilancio europeo può avere nello stabilizzare le nostre economie, l’inizio di emissioni di debito comune, sono importanti e possono diventare il principio di un disegno che porterà a un ministero del Tesoro comunitario la cui funzione nel conferire stabilità all’area dell’euro è stata affermata da tempo”.

Quella in cui crede Draghi, commenta de Bortoli, è “l’idea di un’Europa che non può pensare di tornare a chiudersi nell’impianto di regole che, applicato in maniera troppo rigida nel 2008-2009, ha provocato una contrazione paragonabile con i momenti più bui della Seconda guerra mondiale”.

Quando invece cita l’Europa, nonostante le sue fragilità e i suoi errori, come eccezione quando parla del Wto e del multilateralismo messi “in discussione dagli stessi Paesi che li avevano disegnati, gli Stati Uniti, o che ne avevano maggiormente beneficiato, la Cina”, Draghi “non sta disegnando tre blocchi separati”, continua de Bortoli. “Sta difendendo l’area europea come un’insieme di principi e valori. E lo sta facendo in una sede in cui ha richiamato un impegno etico nella ricostruzione dopo la pandemia”.

DE BORTOLI RICORDA ROMITI

“Cesare Romiti è stato un grande protagonista del Novecento, nei suoi aspetti positivi e in quelli negativi”, ricorda de Bortoli. “È stato un grande manager: ha risollevato la Fiat subito dopo lo shock petrolifero assicurando la diversificazione. Certamente, se ci fu una svolta nella lotta al terrorismo, la si deve anche al coraggio con cui prese in mano le redini della Fiat, allora penetrata da elementi terroristici”.

“Fu un grande collaboratore di Gianni Agnelli e l’interlocutore preferito dal mondo della politica nel gruppo torinese”, continua l’editorialista del Corriere della Sera. “È stato un leader degli imprenditori perché aveva il coraggio delle sue azioni, pur spesso rude, provocatorio, determinato. Fu il capofila di un’impresa che non abbassava troppo la testa nei confronti della politica e del sindacato ma anche di quell’impresa che, come fu scoperto dalle indagini di Mani Pulite, con il mondo politico aveva un rapporto che possiamo definire obliquo, per usare un eufemismo. È stato un editore orgoglioso e coscienzioso, ha rispetto anche le scelte del suo giornale. Consentì scelte che non condivideva. Era un persona di animo gentile, generosa a dispetto della sua immagine di uomo duro. Un combattente, espressione di quella generazione del dopoguerra che aveva conosciuto su di sé la povertà e la miseria di quegli anni e aveva un senso del lavoro e del sacrificio che ha caratterizzato la sua vita, nel bene e qualche volta anche nel male”.

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