La videocall tra il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, e il suo semi-omologo emiratino, Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahyan, è inusuale se non unica, ma si potrebbe dire che è un segno dei tempi dal profondo valore geopolitico. Sfondo della conversazione, l’epidemia di SarsCoV2, ma scopo tutt’altro. Teheran e Abu Dhabi non hanno rapporti diplomatici, divisi dalla faglia islamica (sciiti contro sunniti) e da visioni geopolitiche tutt’altro che conciliabili sulla regione. La Repubblica islamica tende all’imperialismo egemonico; quanto meno vuol crearsi sfere di influenza profonde con cui controllare, se possibile, le dinamiche dell’area attraverso la penetrazione in diversi paesi (dalla Siria allo Yemen, passando per Iraq, Libano e allargandosi fino all’Afghanistan e alle minoranze sciite nel Golfo). Gli Emirati Arabi, guidati dalla piccola-Sparta Abu Dhabi, sono il braccio armato dell’allineamento pro-status-quo sunnita. Con l’Arabia Saudita costituiscono il blocco politico del Golfo che si specchia nei meccanismi petroliferi dell’Opec (dove l’Iran è osteggiato) e in quelli di influenza politica regionale esistenzialmente avversi all’Iran.
Just had a very substantive, frank and friendly video conversation with UAE FM @ABZayed, discussing Covid as well as bilateral, regional and global situations.
We agreed to continue dialog on theme of hope—especially as region faces tough challenges, and tougher choices ahead. pic.twitter.com/lPNsujwtM3
— Javad Zarif (@JZarif) August 2, 2020
Almeno finora. Perché le dinamiche interne al mondo sunnita potrebbero aver cambiato alcuni punti fermi – il tutto accelerato dallo sconvolgimento generale prodotto dalla pandemia. C’è una spaccatura che da mesi sta diventando sempre più evidente all’interno della corrente maggioritaria dell’Islam. Da una parte stanno i paesi pro-status-quo (Emirati, Arabia Saudita e Golfo, con l’Egitto), dall’altra quelli che hanno un’interpretazione rinnovata-ma-ispirata all’Islam politico della Fratellanza musulmana, ossia Qatar e Turchia. La spaccatura s’è resa evidente quattro anni fa, quando il Golfo isolò completamente Doha (accusato di collusione con il terrorismo e rapporti troppo sciolti con Teheran); occasione in cui Ankara si posizionò subito con la penisola nel Golfo. Attualmente c’è il teatro libico a far da luogo per lo scontro fisico, militare tra i due gruppi.
Il cambiamento impone realismo politico, dote emiratina. La ricostruzione semplificata della situazione può essere questa: per Abu Dhabi la spaccatura con Ankara e Doha è più forte, più preoccupante e più violenta, delle divisioni con Teheran. Tant’è che ci sono già state forme di contatto con gli iraniani, anche via Russia: per esempio, il ruolo che gli Emirati stanno svolgendo in Siria. Un tempo sostenevano con armi di contrabbando le opposizioni, ora sono pronti a spendersi per il riallaccio delle relazioni diplomatiche con Damasco (che fa da hub logistico per il rafforzamento del fronte ribelle anti-turco in Libia) e anche sulla ricostruzione. Restando sulla Siria, un’altra immagine dei tempi: da una settima si sa che a Saraqib, nel nord-ovest, sono arrivati 150 soldati dei reparti speciali egiziani per assistere gli iraniani (intesi anche come milizie, tipo Hezbollah). Quegli egiziani lavoreranno sulla roccaforte ribelle di Idlib, ossia più o meno direttamente contro la Turchia e i suoi asset siriani. La mossa del Cairo, avallata dagli emiratini e facilitata dagli iraniani (e non certo osteggiata dai russi), mette in difficoltà la Turchia in Libia.
Se lo sfogo militare in Nordafrica era impossibile, per via di una superiorità turca e del rischio destabilizzante che l’Egitto avrebbe subito da uno scontro nel cortile di casa, in Siria si può procedere a un regolamento di conti. In tutto questo, l’Iran gode di un ruolo di mezzo. Teheran è collegato al Qatar per ragioni strutturali (la condivisione del più grande reservoir gasifero del mondo South Pars/North Dome) e dialoga con Ankara sui temi mediterranei (l’Iran appoggia il governo di Tripoli e avalla l’impegno militare turco in Libia) e mediorientali (le azioni contro i curdi tra Siria e Iraq, che per la Repubblica islamica sono utili per regolare le questioni interne col Pjak) e per progetti infrastrutturale altamente strategici che attraversano il Caucaso e riguardano la connessione tra Mar Nero e Mar Caspio (piani su cui i turchi sfruttano la sponda azera, con Baku che è costantemente agganciato dalla sfera di influenza iraniana). Abu Dhabi cerca di aprire uno spazio attraverso cui rompere le relazioni della Turchia con l’Iran. Teheran sembra accettare il gioco per interesse.