In generale ci lamentiamo di leggi troppo complesse, che pongono una serie di requisiti, limiti, certificazioni. E noi cittadini ci perdiamo a compilare moduli complessi per ottenere le prestazioni pubbliche.
Invece, paradossalmente, il bonus dei 600 euro non conteneva alcun limite o condizione.
In piena emergenza, il d.l. n. 18 del 17 marzo 2020 all’art. 27 prevedeva:
“Ai liberi professionisti titolari di partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, è riconosciuta un’indennità per il mese di marzo pari a 600 euro”.
Cioè una misura di emergenza per tutti i titolari di partita iva e i co.co.co, senza alcun limite di accesso. Mentre a maggio per l’estensione del bonus il limite poi è stato inserito almeno per i professionisti (art. 84 d.l. n. 34 del 2020).
Quindi i 5 parlamentari che hanno chiesto questo bonus hanno agito in piena legalità, perché la legge non poteva alcun requisito. E anche se guadagnavi 100.000 euro al mese lo potevi chiedere. Ma ora stanno impazzando le polemiche.
Ovviamente la richiesta dei 5 parlamentari è moralmente molto inopportuna, ma la questione si può leggere anche da altro punto di vista. Sulla tecnica con cui si scrivono le leggi.
Quando il legislatore pone troppi requisiti e condizioni ci lamentiamo, quando non ne pone nessuna…. Ci sorprendiamo.
Tutto ciò ci fa capire che è giusto che la legge ponga limiti e condizioni, ma che devono essere plausibili e ragionevoli. In fondo già Pitagora diceva: “Il legislatore deve essere l’eco della ragione”.