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Da Roma a Milano, vi spiego il grande gioco di Grillo. Parla Antonio Padellaro

L’esito (scontato) delle votazioni sulla piattaforma Rousseau consegnano al Paese un’immagine profondamente mutuata del Movimento 5 Stelle. Infatti, con l’assenso al far venir meno di due pilastri fondativi su cui si era imperniato tutto il grillismo (doppio mandato per i consiglieri comunali e alleanze con i partiti tradizionali), si è compiuto il primo, concreto, passo per la “partitizzazione” del Movimento. Lettura, questa, che in linea di massima condivide anche Antonio Padellaro, co-fondatore, già direttore e ora editorialista de Il Fatto Quotidiano.

“Nel momento in cui la dirigenza del Movimento ha deciso di mettere al voto queste due proposte – dichiara – è chiaro che l’esito sarebbe stato scontato e che le proposte sarebbero passate senza difficoltà. C’è da dire però che, rispetto ad altre occasioni, hanno partecipato al voto non moltissime persone”. È possibile quindi che “ci sia una frangia del movimento che non fosse d’accordo e che quindi non abbia votato proprio per questo”.

È evidente, dice Padellaro, “che si tratta di un passaggio fondamentale per il Movimento che, in questo modo, si avvicina sempre di più alla forma partitica. Diciamo che in questa fase, in cui i Cinquestelle hanno saggiato l’esperienza di governo, si siano resi conto di come, in un certo senso, ci fosse proprio la necessità di strutturarsi in maniera più solida”. Cosa che, evidentemente, la forma di movimento non può garantire. A dettare la linea “è Luigi Di Maio che, da ministro degli Esteri e quindi da uomo di governo impone una direzione filogovernativa“.

Nello stesso alveo peraltro si muove anche la stabilizzazione dell’alleanza con il Partito democratico. Attenzione però. “Non è il caso di parlare immediatamente di un ritrovato bipolarismo in cui da una parte si schiera la coalizione di centrosinistra e dall’altra quella di centrodestra con il Pd e i 5 Stelle alleati – questo il monito del giornalista – è ancora prematuro fare questi ragionamenti. È chiaro però che ci sia, da parte dei due partiti, un’attrazione politica. In questo senso entra in gioco il fondatore del Movimento, Beppe Grillo che ha fatto chiaramente intendere di essere interessato ad un’alleanza qualora intercorrano le condizioni per strutturarla“. Corre l’obbligo di ricordare però che “ad oggi, l’unica alleanza tra Pd e 5 Stelle al di fuori del governo, è quella che si è creata in Liguria. Peraltro non senza problemi e tensioni”.

L’ultima considerazione Padellaro la fa in merito alla ricandidatura a sindaco di Virginia Raggi. “Non sfugge a nessuno che questa operazione sia stata orchestrata da Grillo e Di Maio – analizza – ed è altrettanto evidente come Nicola Zingaretti, dopo averla criticata aspramente, non potesse essere entusiasta nell’apprendere della ricandidatura”. Ora però, alla luce dei rapporti che vanno via via intensificandosi tra i due schieramenti “occorrerà vedere cosa fa il Pd”. A detta di Padellaro l’unica mossa che i dem possono fare per cementificare l’alleanza è quella di “presentare un candidato che non sia apertamente ostile alla Raggi. Qualora invece il Pd dovesse schierare ‘un asso’, le carte in tavola cambierebbero”. Probabilmente creando non pochi imbarazzi anche in quel di Palazzo Chigi.

Un altro scenario possibile è che “se il centrodestra presenta un candidato forte, il Pd possa correre in soccorso di Raggi“. Al momento comunque, non si vedono grandi nomi giganteggiare all’orizzonte. Né da una parte né dall’altra. Il giudizio di Padellare sull’operato della sindaca grillina non è drastico: “Penso che Raggi non abbia fatto malissimo il suo lavoro. E, anzi, credo possa fare meglio nell’ambito di un eventuale secondo mandato. Ma la realtà è che, attualmente, non ci sono alternative. Perché non c’è nessuno che si vuole prendere questa gatta da pelare“.

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