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Gucci, l’inconscio e la modella “difettosa”

Perché mai Gucci ha scelto per la sua campagna pubblicitaria una modella “difettosa”? La top model si chiama Armine Harutyunyan e la sua immagine colpisce dritto alle contraddizioni di questa nostra società. Armine ha un volto asimmetrico, “strano”, sicuramente diverso. Interessante. E decisamente capace di capitalizzare la merce più pregiata del momento storico: l’attenzione. C’è una sottile linea rossa che va dall’esibizione all’umiliazione. Lo sa l’inconscio. E lo sanno anche i guru del marketing. I nostri vulnerabili ego sono tanto bisognosi di riconoscimento quanto sensibili alle critiche.

Di Armine si può dire che è simpatica, sofisticata, seducente… ma si può dire che sia “bella”? Proprio su questo punto si è animato il dibattito social. Ma qui non si tratta di prendere una decisione tra forma e sostanza, e nemmeno di fare guerriglia semiologica come ci insegna Umberto Eco. Qui gira l’economia psichica, mentre si fanno soldi e si investe tempo. E intanto ne va della libertà di espressione opposta – ma anche non troppo opposta – alla possibilità di essere quello che si è.

Se dico che Armine non è bella in senso tradizionale faccio “body shaming”, cioè la sto umiliando, o dico la verità, ci chiediamo. Allo stesso modo siamo tentati di rivendicare che Armine sia “bella” per prendere su di noi il potere di definire ciò che è bello. Via dalle costrizioni dei corpi ideali, benvenute le esibizioni dei difetti. E così ne parliamo, ne discutiamo: facendo chiaramente il gioco del geniale creatore della campagna Gucci.

Non a caso, l’estate 2020 sarà ricordata come la stagione in cui il ritocco passò di moda e divenne cheap. Basta con i filtri applicati ai selfie, basta con i corpi piallati e le rughe distese per le foto da pubblicare su Instagram. Al loro posto, tante famose o aspiranti famose, hanno preferito aderire a una controtendenza: il movimento “body positive”, che si pone come obiettivo quello di non cancellare le imperfezioni. Lasciare che la cellulite si veda e si condivida, raggiungere la massa critica perché se ne parli – molto – sui social.
Sembrerebbe un mondo diviso tra chi sostiene il politically correct e chi continua a proporre modelli ideali (di bellezza, ma anche di potere e di identità). Eppure non c’è troppo da rilassarsi. Perché la seduzione dell’ideale è sempre dietro l’angolo e anche il politically correct può diventare un modello ideale. In Usa la “cancel culture” è giunta ad alcuni paradossi tragicomici, con la richiesta di dimissioni di chiunque abbia espresso un commento sgradito a un collaboratore. Dietro ogni rivoluzione c’è sempre lo spettro del Terrore e delle ghigliottine.

(Foto: Account Instagram @deararmine)



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