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Bene la visita di Guerini a Tripoli. E l’Europa? Il punto di Tricarico

Bene la visita di Lorenzo Guerini a Tripoli, ma per avere effetti concreti sulla stabilizzazione della Libia occorre inserirla in una strategia di rilancio dell’azione della comunità internazionale, tornando alla Conferenza di Berlino. Parola di Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che Formiche.net ha raggiunto per commentare la missione del ministro della Difesa a Tripoli (qui un approfondimento). In agenda, il rafforzamento della cooperazione bilaterale con il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al Serraj, con lo spostamento dell’ospedale di Misurata e nuove attività di addestramento delle Forze libiche. Si punta alla stabilizzazione del Paese, scongiurando ipotesi di spartizione.

Generale, che valore ha in questo momento la visita di Guerini in Libia?

È positivo farsi vedere per l’Italia, ampliare le conoscenze della crisi e disseminare tra le istituzioni la conoscenza di un problema che necessita di essere tenuto tra le priorità della politica nazionale. Ogni visita però deve essere inserita in una strategia, e per la Libia ogni strategia non può prescindere dalla rimessa in moto dell’intera comunità internazionale. Altrimenti, le azioni singole rischiano di avere successo limitato.

Da dove partire?

Dalla risoluzione dei problemi intra-libici, poiché per avviare una collaborazione di carattere strutturale con la Libia, c’è evidentemente bisogno di una solidità statuale che oggi, purtroppo, quel Paese non ha. In tal senso, la proficuità della visita di ieri resta legata a singoli e limitati aspetti, dallo spostamento dell’ospedale di Misurata, alla collaborazione con la Guardia costiera, passando per le attività di sminamento all’addestramento di militari libici. Ciò non tocca il problema principale, cioè il radicamento di una bipolarità che per noi non può che essere non vantaggiosa.

A chi fa riferimento?

A Russia, Turchia ed Egitto. Dietro le quinte ci sono altri attori con ruoli più sbiaditi, regionali e non, ma i più attivi sono loro tre.

Ieri, comunque, l’obiettivo era “un salto di qualità” nei rapporti bilaterali.

Sì, ma vorrei sottolineare l’esigenza di non dimenticare in questa interlocuzione che nel 2012 abbiamo firmato un memorandum d’intesa con la Libia, tutt’ora mai cancellato, che riguarda una serie di progetti per la sicurezza libica e, di conseguenza, italiana. Un giorno o l’altro, appena le condizioni lo permetteranno, tale memorandum andrebbe rispolverato e rimesso in corsa. Riguarda fondamentalmente il controllo delle frontiere, terrestri e marittime, e altri progetti di minore impatto.

Quale è oggi il rischio maggiore per la Libia?

Oltre il radicamento del confronto tra i Paesi appena nominati, il rischio maggiore è il passaggio a una contrapposizione di carattere religioso. Potrebbe rappresentare un salto di qualità negativo nell’interazione tra i vari attori. Agli interessi commerciali, energetici e di sicurezza, si potrebbe aggiungere un agente molto più insidioso, ovvero, in sintesi, il confronto tra Fratelli musulmani e chi li perseguita. Per questo, se c’è qualcuno che vuole genuinamente ricreare le condizioni per la stabilizzazione della Libia, è importante che faccia in fretta, depotenziando queste conflittualità che si stanno irrobustendo tra Tripoli e la Cirenaica.

Cosa fare?

Ci siamo fermati a Berlino, a una comunità internazionale che potrebbe ridare vigore ai colloqui di pacificazione, se solo riuscisse a incanalare la crisi nella dinamica di un’interlocuzione verso la stabilizzazione e la definizione dell’architettura statuale.

A tal proposito, oltre al cessate-il-fuoco, tra le priorità italiane c’è il mantenimento dell’unità della Libia, evitando partizioni…

L’obiettivo è corretto, primario, anche se della partizione se ne è sempre parlato, per un Paese la cui unità è tenuta come fusione a freddo. L’obiettivo è giusto, ma forse non perseguibile a tutti i costi. Se l’unica strada perseguibile dovesse essere quella, forse converrebbe intraprenderla a fronte del rischio di una confrontazione sul piano religioso. Poi, occorre fare attenzione al radicamento della Russia.

Ci spieghi meglio.

Ormai è chiaro che l’obiettivo strategico di Putin sia occupare gli spazi vuoti, come in Siria. Ora, il centro di gravità e l’influenza si sta spostando nel mare nostrum, e ciò deve comportare una riflessione profonda. Da anni chiediamo alla Nato di occuparsi di più del fronte meridionale; non vorrei che ciò accada per rispondere a una presenza maggiore da parte della Russia.

Dopo le critiche per una marginalizzazione italiana (ed europea) a fronte dell’attivismo di Russia e Turchia, negli ultimi mesi sembra emerso il tentativo di riprendere spazio sul dossier libico. Ce la possiamo fare?

Ci vuole un Paese unito, credibile, che si assume le proprie responsabilità. Se riteniamo di poterlo fare, bene fanno Di Maio, Lamorgese e Guerini ad andare a Tripoli. Se, invece, si tratta solo di mettersi la coscienza apposto, le cose cambiano aspetto. Non so se questi comportamenti siano riconducibili alla volontà di mettere in campo una strategia nuova e credibile, o se piuttosto non siano singoli episodi.

A proposito, ad accompagnare il ministro c’era anche il direttore dell’Aise, Gianni Caravelli, che tiene da tempo i contatti che riguardano il dossier libico. Quanto è importante dare continuità?

La visita di Guerini dimostra proprio che c’è un continuità di rapporti e di solidità di entrature e di radicamento per l’Italia in Libia, un patrimonio che evidentemente non è stato buttato alle ortiche, ma tenuto costantemente aggiornato con al centro la figura di Caravelli. Dovrebbe essere così per ogni amministrazione: poco importa se la politica cambia, l’importante è che le istituzioni mantengano la loro solidità. Caravelli ha un radicamento conoscitivo e relazionale in Libia di grandissimo spessore, e certamente credo che abbia giocato un ruolo nel promuovere l’attivismo del governo. Tale azione non deve essere lasciata isolata. Deve piuttosto entrare in una strategia europea. Bisogna cioè risvegliare l’interesse internazionale, e in particolare europeo, sulla necessità che i colloqui interrotti vengano ripresi per costruire un’unità di vedute tra i vari Paesi che hanno titolo e quelli che a suo tempo si sono seduti al tavolo di Berlino.

Recenti gli incontri di Guerini con gli omologhi di Francia e Turchia, due Paesi tra cui si registrano da settimane frizioni tra dossier libico e mediterraneo orientale. Sta emergendo l’ambizione italiana a un ruolo di moderazione e intermediazione. È possibile?

Ben venga il tentativo. Anche qui, però, se abbiamo le forze, la solidità, la volontà e la credibilità per farlo è un conto, altrimenti meglio lasciar perdere. Quando ci si erge a pacificatori tra due giganti, bisogna essere più robusti di ciascuno dei due.

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