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Hong Kong rischia di non votare mai più. La denuncia di Pompeo

“È probabile che Hong Kong non sarà mai più in grado di votare. Questa deplorevole azione conferma che Pechino non ha intenzione di mantenere gli impegni assunti nei confronti del popolo di Hong Kong e del Regno Unito”, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, parla della decisione della Chief Executive del Porto Profumato, Carrie Lam, che ha annunciato il rinvio delle elezioni. Si tratta del rinnovo della porzione del Legislative Council che è soggetta al suffragio universale. In tutto sono 70 seggi, ma la metà vanno assegnati a corporazioni imprenditoriali che di solito Pechino sceglie tra realtà controllate. Mrs Lam, che è stata messa al suo posto dalla Cina, ha invocato i poteri di emergenza e ha fatto saltare l’esercizio del voto per il rischio sanitario connesso al coronavirus (un’eventualità evocato anche dal presidente statunitense). I contagi nell’ultima settimana sono stati circa 100 al giorno, non un numero eccezionale se confrontato con quello dei Paesi più colpiti e con altri in cui alcuni focolai sono in riattivazione.

Il rinvio potrebbe essere addirittura di un anno, “non c’è ragione per un ritardo così prolungato”, dice Pompeo. Le tempistiche — contro cui si sono schierate le opposizioni democratiche — saranno decise definitivamente dal Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo in una seduta programmata tra l’8 e l’11 agosto. Per decenni, prosegue la nota, “il popolo di Hong Kong ha ripetutamente dimostrato il suo desiderio e la sua capacità di tenere elezioni libere ed eque. Esortiamo le autorità di Hong Kong a riconsiderare la loro decisione. Le elezioni dovrebbero tenersi il più vicino possibile alla data del 6 settembre (la data fissata, ndr) e in modo da riflettere la volontà e le aspirazioni del popolo di Hong Kong. Se non lo sono, allora purtroppo Hong Kong continuerà la sua marcia per diventare solo un’altra città a guida comunista in Cina”.

La decisione di spostare la data del voto era stata annunciata nei giorni scorsi dopo che le autorità hongkonghesi avevano squalificato dalla competizione elettorale dodici candidati importanti tra i democratici. Tra loro, Joshua Wong, che aveva dichiarato: “La nostra resistenza continuerà e speriamo che il mondo possa stare con noi in questa imminente battaglia in salita”. L’aspetto inquietante dietro al rinvio, che Pompeo critica, è l’evidente tendenza a favore dei candidati pro-democrazia. Sentimento emerso in questi lunghi mesi di proteste, i candidati che rivendicano il rispetto della semi-autonomia che ha contraddistinto finora l’ex colonia britannica, avrebbero ricevuto molti consensi. Per questo sembra che la scusa dell’epidemia per rinviare il voto è stata pretestuosa: un modo per non far votare i cittadini del Porto Profumato in questo momento (e chissà quando poi?).

Ci sono anche degli aspetti tecnici. Lam ha facoltà di rinviare il voto per “calamità naturali”, come cicloni e tornado: è una clausola legislativa che permette uno slittamento di quindici giorni. Ma qui si parla di ben altri tempi. Per di più, la Basic Law di Hong Kong prescrive l’impossibilità di proroga del consiglio legislativo: al che, un rinvio di un anno aprirebbe un vuoto di potere istituzionale — condizione caotica, che forse potrebbe convenire a Pechino (che potrebbe commissariare l’assemblea, un’altra stretta sul controllo dopo la legge per la sicurezza nazionale).

 

 

 

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