“Sarebbe bene chiudere caso Huawei”. A scriverlo su Twitter, cogliendo il pressing del Copasir sul governo Conte riportato da Formiche.net, è Francesco Pizzetti, professore ordinario di diritto costituzionale a Torino e docente alla Luiss, già presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali tra il 2005 e il 2012. “Sul digitale dobbiamo correre, correre moltissimo”, aggiunge.
Raggiunto telefonicamente da Formiche.net il giurista spiega come chiudere il caso: “Seguendo l’esempio di Donald Trump. La linea degli Stati Uniti contro i social cinesi non è una questione legata esclusivamente alla difesa delle aziende americane”, spiega con riferimento all’ultimatum lanciato dall’amministrazione statunitense a TikTok (che se non passerà in mani americane entro il 21 settembre verrà bandito dal Paese). “I social oggi sono uno dei veicoli, assieme al cloud per esempio, per acquisire dati e informazioni su altri Paesi e sui comportamenti delle persone. E sono dati che consentono analisi molto approfondite. Questo è un problema che può toccare anche la sicurezza nazionale”.
Ma non è l’unico rischio. “Se ci abituiamo a usare social sotto controllo straniero”, aggiunge Pizzetti, “accettiamo che alcuni governi stranieri possano chiuderli o imporgli determinate policy sul dibattito, o ancora condizionare il formarsi delle cosiddette bolle informative. Non c’è dubbio che così possano incidere sul dibattito pubblico di un Paese e sulle connessioni che i social apparentemente consentono ma che possono anche essere determinate, appunto, da certe policy”, aggiunge il giurista sottolineando poi i rischi legati alla diffusione di fake news e di bot. “Un social che opera al di fuori dell’Unione europea rappresenta un pericolo per l’Unione” stessa, spiega, visto che “le autorità garanti comunitarie non hanno poteri di enforcement adeguati”.
C’è poi il tema tecnologico, cioè “il controllo dei nodi di smistamento delle rete e delle strozzature della rete fisica attraverso cui necessariamente i messaggi devono passare, che sono meravigliose occasioni per raccogliere informazioni sui dati”. E questo “è il caso Huawei”, dice Pizzetti ricordando che i dati corrono attraverso grandi cavi sottomarini. E “non a caso passano in misura significativa nel mare di Palermo, da cui passano le dorsali che portano ai Paesi del Mediterraneo orientale e a cui arrivano quelli della Germania”, aggiunge.
Infine, c’è il tema delle informazioni che si possono trarre dai dati. “Quello che non riesco a capire”, confessa Pizzetti, “è come la gente sia così ingenua da dire di non aver nulla da nascondere: i dati hanno un valore immenso, che dipende anche da chi e come li analizza. Se aggiungiamo che oggi possono essere analizzati con costi sempre più bassi e con modalità sempre più rapide, e che possono essere conservati in quantità sempre maggiori, è chiaro che la guerra per il possesso dei dati caratterizzerà la società digitale”. Per queste ragioni, conclude, “è ovvio che il Copasir, i servizi di sicurezza e i governi si agitino”.
Un’ultima osservazione il professor Pizzetti la riserva alla data science, scienza che in Italia si ignora in un’epoca in cui sarebbe fondamentale. Come raccogliamo e verifichiamo i dati è un altro punto fondamentale. Ed è emerso anche nel caso della pandemia di coronavirus. “Quello che più è grave in questa pandemia, mentre ci diciamo quanto siamo stati bravi, è che non c’è un protocollo uniforme per la raccolta dei dati relativi alla pandemia. Non abbiamo la minima idea se i dati forniti dalle Regioni siano comparabili. E se anche lo fossero, ci sarebbe un altro problema: sono aggregati. A dirlo sono stati i virologi stessi per un lungo periodo. Ma ora si sono stancati”.