L’amico Cristiano Zagari l’ha definito “rischio patchwork”. Potremmo definirlo rischio-frammentazione, oppure rischio-ammucchiata, che forse rende meglio l’idea. Se cercate su internet, troverete che la seconda definizione dell’Oxford Languages di “ammucchiata” (quella figurata, per intenderci) suggerisce che essa sia un “raggruppamento confuso ed eterogeneo, motivato da un’occasionale e temporanea coincidenza di interessi”.
Le premesse perché in Italia si realizzi una grande ammucchiata ci sono tutte. Intanto la “occasionale e temporanea coincidenza d’interessi”; che in questo caso si declina con “una pioggia di quattrini in arrivo dall’Unione Europea”. Sono i fondi del Recovery Plan. Oltre 200 miliardi di risorse che arriveranno nel nostro paese grazie (si fa per dire) alla pandemia che continua a colpire le economie di tutto il mondo.
Una grande occasione di iniezione di risorse, pari a circa il 12% del PIL italiano, in un anno in cui, se va bene, la diminuzione del PIL si attesterà probabilmente proprio intorno al 12% del PIL. La coincidenza d’interessi sta nel fatto che questi soldi fanno gola un po’ a tutte le varie corporazioni (il “raggruppamento confuso ed eterogeneo”) che si spartiscono normalmente la ricchezza del paese. Il rischio, naturalmente, è che si accontentino tutti (o meglio, che non si scontenti nessuno) ma che si perpetui la cronica e sistematica carenza di un indirizzo strategico preciso; che è esattamente il motivo per cui fino ad oggi abbiamo sprecato innumerevoli occasioni per crescere, sia in termini di Pil, sia di qualità del tessuto sociale, culturale, ambientale e, in definitiva, della vita.
Provo a fare un passo avanti rispetto alla lucida denuncia di Zagari. Per evitare il rischio patchwork/ammucchiata servono, a mio modesto avviso, almeno tre condizioni.
La prima: una direzione strategica chiara e precisa. Serve un’idea dell’Italia da qui a vent’anni, da iniziare a perseguire grazie a questa insperata iniezione di fondi: vogliamo continuare a vivere solo dell’esportazione di scarpe, moda, vini, gioielli? O magari puntiamo sull’alta formazione e quindi sull’innovazione sociale, urbana, tecnologica per tentare di vincere una competizione globale sulla frontiera delle possibilità produttive, magari in ambiti professionali che oggi neanche esistono? Vogliamo ammodernare le infrastrutture di comunicazione e trasporto del paese e provare a rendere parte delle mansioni lavorative smart ed orientate al risultato piuttosto che al cartellino? Vogliamo smetterla di pensare individualmente o corporativamente per cercare di realizzare sinergie?
La seconda: l’assunzione di responsabilità. Possiamo anche decidere che il paese ci va bene così com’è e che niente va cambiato in profondità; ma occorre che qualcuno se ne assuma la responsabilità. Se il governo, al momento guidato da M5S e PD decide di andare in una direzione piuttosto che in un’altra, si assuma onore ed onere della scelta, i cui effetti ricadranno su tutti gl’italiani per decenni a seguire. La cosa peggiore è che non sia abbia il coraggio di scegliere, che nessuno si assuma le responsabilità delle non-scelte e la liquidità in arrivo risulti persa in rigagnoli più o meno trasparenti, infiltrandosi nel terreno dell’economia e della società italiane senza che nulla si muova.
La terza condizione è che emerga, se ancora esiste, una élite progressista (nel senso di interessata al progresso, non alla conservazione della situazione attuale) nel paese. Tommaso Padoa-Schioppa, povero illuso, era convinto che una élite, favorevole ad avviare un processo di svecchiamento del paese grazie all’aggancio con l’Unione Europea, si sarebbe raggruppata intorno ad “insegnanti, dirigenti d’impresa, giornalisti, avvocati e magistrati, banchieri, sindacalisti o altro ancora – le cui azioni e decisioni, quale che sia il loro campo specifico, oltrepassano il confine del particolare”. Di questa ipotetica élite, fino ad oggi, se ne sono viste solo pallide tracce, ben nascoste e rigorosamente in silenzio di fronte ad una vita pubblica di cui si sono appropriati cialtroni ed improvvisatori buoni per intrattenere il pubblico o raccattare consensi, non certo per governare un paese in maniera seria.
Se questa élite potenziale esiste, è il momento di uscire allo scoperto (terza condizione) per pungolare il governo ad assumersi le proprie responsabilità (seconda condizione) e scegliere una strategia per il paese (prima condizione). Solo se questo triangolo virtuoso riuscirà a sconfiggere le inerzie e le resistenze di corporazioni e rendite di posizione l’Italia avrà ancora un futuro per il quale vale la pena lottare.