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L’Islam, Erdogan e il riconoscimento della diversità

erdogan

Una delle più importanti organizzazioni musulmane del mondo, l’indonesiana Nahdlatul Ulama, nata circa un secolo fa nel solco tradizionalista, propone un’ampia e importante risposta alle posizione che il leader turco Erdogan ha rilanciato nel mondo islamico dai giorni della trasformazione in moschea di Santa Sofia. La linea di Erdogan viene definita come quella del più evidente suprematismo islamico, teso o creare un nuovo Califfato. Il documento è significativamente emerso dopo un confronto con il Partito Popolare Europeo e diverse realtà di orientamento cristiano, nella convinzione che “il 21° secolo offre ai musulmani un’opportunità senza precedenti di cooperare con i non musulmani, presentando l’Islam non come un’ideologia suprematista o un veicolo di conquista, ma piuttosto come uno dei tanti percorsi attraverso i quali gli esseri umani possono raggiungere la perfezione spirituale”.

Dunque siamo nel tragitto della ricerca dell’armonia e del riconoscimento della diversità come valore. Il termine fratellanza ricorre spessissimo nel documento islamico, a riprova che il Documento firmato lo scorso anno ad Abu Dhabi da Francesco e dall’imam al-Tayyeb rappresenta uno spartiacque in tutti i campi culturali, tra chi lo accetta e quanti invece rimangono convinti di una vecchia visione diffusa in tutti gli universi religiosi che fuori di sé esistano false credenze e quindi una falsa umanità. Il fondamentalismo ha un tratto unificante in tutti i campi che si negano.

Il documento di Nahdlatul Ulama infatti sottolinea subito che il profeta Maometto annunciando l’unico Dio non disse “Oh musulmani!” ma “ Oh uomini!” Perché? La risposta è profondamente innovativa: “per invocare la nostra comune origine e esortarci a vivere pacificamente gli uni con gli altri.” Questo messaggio è stato dimenticato, o frainteso per via di un istinto, quello del dominio: “quando cercano di dominare gli altri, gli uomini trasformano tutto ciò che è prezioso in armi con cui colpire i loro nemici, compreso ciò che è più prezioso, la religione stessa. Se dimentichiamo che il messaggio principale dell’Islam è la rahmah, la misericordia, allora potremmo essere tentati di utilizzare come armi la storia e la nostra identità religiosa. Ma farlo significa cedere ai suggerimenti dell’ego.”

Il testo richiama una tradizione a noi assai poco conosciuta, ma che definisce centrale nell’Islam asiatico e che loro chiamano Islam umanitario: “ l’Islam umanitario è l’esempio unico dei ” Nove Santi” del XV e XVI secolo che predicarono “l’Islam delle Indie Orientali” sottolineando la necessità di contestualizzare gli insegnamenti islamici adattandoli alle realtà in continua evoluzione dello spazio e del tempo, presentando l’Islam non come un’ideologia suprematista o un veicolo di conquista, ma piuttosto come uno dei tanti percorsi attraverso i quali gli esseri umani possono raggiungere la perfezione spirituale.” Tutto questo viene costruito e spiegato sulla base della centralità della misericordia divina, proprio quella misericordia di cui nel mondo cristiano parla incessantemente Francesco. E la misericordia divina spiega la conclusione che fa di questo la risposta culturale ed islamica a Erdogan: “Non dobbiamo essere ostaggi del passato.” Il presunto neo ottomanesimo di Erdogan viene dunque capito come una decontestualizzazione dell’impresa ottomana che la stravolge rispetto al contesto in cui indicò apertura e non suprematisimo.

Ma proprio l’uso del termine suprematismo qualifica la scelta erdoganiana ai nostri occhi, consapevoli di altri suprematismi, aiutandoci a capire come gli uni e gli altri operino insieme nel distruggere nei diversi ambiti culturali la reciproca fiducia.

Il documento ha significativamente trovato un terminale italiano nella Coreis, l’organizzazione musulmana guidata da Pallavicini e che si propone dunque come uno dei veicoli di questa visione nel contesto islamico europeo.


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