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L’accordo in Libia e l’opportunità per l’Italia di tornare in pista. Scrive Redaelli

Lo raccomandavano già Le mille e una notte in uno dei loro passi più belli: “E se proprio hai deciso di agire, agisci con prudenza e senza fretta eccessiva”. Un suggerimento che l’Italia ha preso fin troppo alla lettera in questi mesi, mentre in tutto il Mediterraneo le contese geopolitiche subivano un’accelerazione fortissima e pericolosa. Dapprima l’entrata in forze della Turchia nello scenario libico, che ha permesso al governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli, e da noi sostenuto, di ribaltare la sfavorevole situazione militare e cacciare le forze del generale Khalifa Haftar dalla Tripolitania; poi il pericoloso infiammarsi della partita energetica nel Mediterraneo orientale, con le tensioni fra Ankara e Atene, e con la crescente irritazione francese nei confronti dell’avventurismo di Recep Tayyip Erdogan. Sullo sfondo la rivalità interna al mondo sunnita sul ruolo dell’islam politico, che vede Qatar e l’onnipresente Turchia opposta a Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto: una rivalità che viene declinata in molti scacchieri, fra cui quello libico e quello geo-energetico.

Dinanzi a questo sommovimento geopolitico, Francia e Italia sembrano aver preso strade diverse, come accade da molti anni. Parigi ha scelto di apparire sovra-esposta, con le sue missioni militari nella fascia sub-saheliana, con il suo ambiguo, cinico supporto al velleitarismo dell’inconcludente generale Haftar e ora con l’uso di toni estremamente aggressivi contro un altro paese Nato come la Turchia – e i danni causati all’Alleanza Atlantica da queste tensioni, che si aggiungono a una situazione già problematica, saranno pagati dall’Alleanza nei prossimi anni.

Per contro l’Italia ha scelto una prudenza e un “rispetto delle regole” che, nell’anarchia dilagante, è sembrano un immobilismo dettato dall’incapacità politica di capire quali siano i nostri interessi nazionali e, ancor più, di immaginare una strategia per difenderli. Il che ci ha portato a una evidente perdita di influenza e di ruolo geopolitico regionale. Da più parti, a volte in modo scomposto, si è suggerito al nostro governo di accodarsi all’interventismo di Erdogan, dato che condividevamo la difesa dello stesso alleato – ossia il governo di Fayez al Sarraj; un suggerimento che aveva una qualche sua ragione d’essere, anche se era evidente che noi non potevamo permetterci di agire nel modo sfacciatamente scomposto dei turchi, e non solo perché non abbiamo milizie di tagliagole jihadiste al nostro servizio come Ankara. Altri hanno sostenuto l’importanza di una politica di engagement con Haftar, cosa effettivamente tentata, ma che è sembrata velleitaria e controproducente.

In buona sostanza, abbiamo fatto poco e soprattutto abbiamo dato l’idea – probabilmente esatta – che l’attuale compagine governativa sia quasi totalmente priva di competenze adeguate in politica estera e che manchi finanche delle conoscenze di base per elaborare una efficace strategia geopolitica. Fra il fare troppo, magari in modo scomposto e violando quelle regole etiche e valoriali che non possiamo dimenticare e in non fare nulla, esistono altre vie, come quelle che da qualche tempo sta percorrendo la Germania, una potenza sempre molto restia e prudente nell’attivarsi a livello geopolitico, ma che sembra ora attiva in alcuni settori del sud Mediterraneo.

Il recentissimo annuncio di un cessate il fuoco fra le due opposte fazioni in Libia, da parte di al Sarraj e di Aguila Saleh, con il beneplacito di vari contendenti regionali, apre una finestra interessante per rientrare attivamente, con una strategia che privilegi il momento politico rispetto a quello militare. Insomma, agire con prudenza sì, ma agire. Possibilmente sapendo cosa stiamo facendo.



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