Proviamo a fare un viaggio nell’immaginario di Hezbollah. E cominciamo a fare questo viaggio immaginario con gli occhi ipotetici di uno dei tanti sopravvissuti. La sua zona di residenza la porta in un supermercato Karout, controllato da Hezbollah. Lui gira tra gli scaffali, cerca qualcosa da comprare per casa, per sé ed i suoi cari. Poi incappa in un prodotto in scatola plastificata: il prodotto è turco ed ha una maniglia per renderlo facilmente trasportabile. Di cosa si tratta? “Ilk yardim cantasi”. Il nostro avventore non capisce, ma la traduzione in inglese sulla confezione lo aiuta a capire: “First Aid Box”.
In un viaggio in cui gli aiuti per i soccorritori finiscono sul banco del supermercato lui pensa certamente a fotografare l’oggetto della sua sbalorditiva scoperta. Ma questa scoperta significa qualcosa di più. La guerra costa.
Soprattutto se a condurla fosse un’organizzazione sostenuta da un governo in difficoltà finanziarie. Così a questo ipotetico cliente del supermercato, uscito sconvolto, difficilmente non tornerebbero alla mente le discussioni libanesi di mesi fa, quando il dollaro cominciava a volare. Il tasso di cambio era stato fisso, un dollaro per 1500 lire libanesi, dai primi anni dopo la guerra civile, conclusasi nel 1990. Ora invece la lira precipita. E alcuni voci beirutine, ovviamente del fronte ostile ad Hezbollah, sostenevano che i money changer vicini al Partito di Dio acquistavano la divisa statunitense a prezzo maggiorato. Sapevano che presto quel valore sarebbe stato vantaggioso, visto che la corsa verso il baratro non si sarebbe arrestata. La guerra costa.
Tutto sommato è questo che ha detto, a modo suo, Hasan Nasrallah durante la sua conferenza televisiva di pochi giorni fa: “Noi sappiamo cosa c’è nel porto di Haifa, non in quello di Beirut”. La guerra costa. A noi non può interessare cosa accade nel porto di Beirut, il nostro obiettivo non è governare il Paese, ma governarlo per combattere il nemico. Tutto sommato sarà per questo che le risorse di Hezbollah non hanno potuto significare sviluppo per i villaggi del sud del Libano. Le risorse vanno spese per la guerra, la vita è in funzione della guerra.
Ecco che torna alla mente un fatto evidente ma poco notato. Durante l’ultimo conflitto con Israele, nel 2006, la popolazione israeliana era nei bunker, quella del sud del Libano no, perché quei bunker dovevano rimanere nascosti, segreti, per i miliziani; i villaggi invece erano dei dedali dove agire mimetizzati. Queste vittime per Hezbollah non sono però danni collaterali della loro ferocia, sbaglieremmo tutto a pensare così. Loro sono martiri, eroi che vanno a collocarsi nel tempo di mezzo. E’ un tempo per noi misterioso, a mezza strada tra la nostra vita e la vita eterna. Possiamo capire pensando all’idea di imam nascosto. Lo sciismo duodecimano crede nell’imam nascosto. Vissuto secoli e secoli fa il dodicesimo imam si è nascosto, si trova nel tempo di mezzo, e tornerà alla fine dei tempi. E’ un qualcosa a cui possiamo arrivare, grossolanamente, immaginando il ritorno di Gesù alla fine dei tempi, che infatti è tale anche dalla teologia islamica. La teologia apocalittica khomeinista ritiene che quel tempo di mezzo sia ormai nel nostro tempo, e i martiri vi si collocano, avvicinando la fine dei tempi, la resa dei conti finale, e quindi l’arrivo della resa dei conti finale, l’Armageddon, a cui seguirà l’epoca santa, la giustizia divina.
L’amore di Hezbollah per il riscatto del popolo credente, gli umiliati, i reietti della terra, non è in discussione. Ma è un amore apocalittico. Passa per la rivoluzione khomeinista che esportando la rivoluzione fino al Mediterraneo esporterà la guerra tra bene e male, avvicinando la resa dei conti e quindi l’arrivo liberatorio dell’unica vera giustizia, quella divina.
Tatticismi, politicismi, potere, traffici, commerci illegali, esistono certamente, ma vanno inquadrati in questo contesto teologico e ideologico. I libri, magari difficilissimi o così popolari da essere ridicoli, relativi alla visione apocalittica di Hezbollah sono tantissimi. I segni dell’Apocalisse sono incomprensibili nei primi o penosamente ridicoli negli altri. Ma sono efficaci. Entrano come un unguento in vite troppe difficili da essere sopportate, senza speranza, che improvvisamente appare evidente proprio in questa speranza di giustizia finale, divina e assoluta.
Nel nome di questo ci sta anche pensare all’ipotesi della trasformazione del porto di Beirut in una santabarbara. Le difficoltà economiche per portare avanti la guerra indispensabile e che pesano sul regime finanziatore potrebbe aver imposto una soluzione meno costosa alla costruzione missilistica. Ecco allora che qualcuno potrebbe aver pensato di riempire il porto di Beirut con un carico di nitrato d’ammonio fatto arrivare tramite un finto fallimento di una ditta che lo trasportava altrove. Il fallimento sopraggiunto strada facendo avrebbe obbligato il trasportatore, stranamente, ad approdare proprio a Beirut.
Lavorando su questa ipotesi ecco che si potrebbe pensare a un balletto di copertura tra dogana e magistratura per coprire con la proverbiale cialtroneria, o inefficienza araba, la permanenza di quel carico vitale per anni e anni nel porto. E se fosse questo quello che si potrebbe scoprire con la commissione d’inchiesta internazionale? Se così fosse poi si potrebbe pensare che quel nitrato d’ammonio sia stato usato, negli anni di supposto “cialtronesco abbandono” nel porto libanese, da Hezbollah per consentire ad Assad di realizzare i suoi barili bomba con cui ha piegato tanti nemici, per costruire i missili di alcuni alleati nello Yemen… E ancora. La guerra costa.
Ecco allora che sarebbe importante chiedere a Nasrallah cosa intendesse dire quando ha detto: “Se non ci fosse stato il mare lì accanto l’esplosione sarebbe stata molto più grave”. Era un modo per dire: “Lo abbiamo tenuto in modo da ridurre i possibili danni”? Il punto di fondo però sarebbe culturale: cosa ha portato alla diffusione della visione apocalittica, quanti errori, abusi, da parte di tutti, lo hanno facilitato.