Il Libano ha un nuovo primo ministro dopo le dimissioni di Hassan Diab, offerte al popolo come una sorta di ammissione di colpa per la tragedia del porto – l’esplosione spaventosa che ha sventrato mezza Beirut il 4 agosto e ucciso 180 persone. È Mustapha Adib, ex diplomatico in Germania, designato a poche ore dall’arrivo in Libano del presidente francese Emmanuel Macron. Sull’interdipendenza delle due notizie basta leggere il titolo del Financial Times: “Il Libano nomina il nuovo primo ministro in vista della visita di Macron”. Significativo.
Il francese è stato il primo leader internazionale a visitare la capitale libanese, quando ancora la polvere dell’esplosione di nitrato di ammonio – lasciato per anni incustodito al porto, stoccato insieme a materiale infiammabile – non s’era ancora del tutto posata. Un incidente che si è portato dietro un Paese: passaggio tragico che ha esposto all’opinione pubblica internazionale la crisi che da anni si respira in Libano. Conseguenza anche dall’impalcatura confessionale, che adesso è messa in discussione anche dal presidente Michel Aoun, pervaso da realtà drammatiche come la crisi economica, il peso della guerra civile siriana, la gestione faticosa dei tanti profughi e delle tante tensioni sociali.
Non bastasse, c’è l’ingombro di una realtà parallela allo stato, una sorta di mafia arrivata fino alle vette del sistema istituzione: il gruppo islamico Hezbollah, fenomeno politico e militare nazionalista e anti-semita, su cui l’Iran ha investito per costruire un’internazionale dello sciismo con cui propagare la propria influenza nella regione. Anche qui, alla vigilia del secondo viaggio di Macron, il chierico Hassan Nasrallah, predicatore accalappia proseliti e leader carismatico dell’organizzazione, sembra essere arrivato a una posizione d’apertura (in qualche modo prevista su queste colonne in un’analisi di Matteo Bressan). C’è interdipendenza anche in questo caso?
Non è da escludere, e intanto Hezbollah ha dato l’appoggio al nuovo primo ministro Adib. Per il Libano – per tutto il Libano, compreso quello degli Hezbollah – l’esplosione del porto potrebbe essere stato un reset: un momento da cui lanciare una ripartenza che per forza di cose dovrà essere sinceramente diversa da quanto ha prodotto l’esplosione politico-sociale. “Siamo pronti a un nuovo patto politico, a condizione che sia discusso tra tutte le componenti libanesi”, ha detto Nasrallah. È un’apertura che non guarda tanto alle richieste internazionali – dalle quali chiaramente, però, non è immune – quanto ai giovani che da mesi scendono in piazza per chiedere un futuro.
“Abbiamo ascoltato l’appello di Macron, siamo pronti a discutere in modo costruttivo”, dice il proclama del leader sciita. A L’Orient Le Jour, quotidiano libanese pubblicato in francese (a proposito della continuità culturale franco-libanese di cui su queste colonne parlava Jean-Pierre Darnis) va la palma per il commento più pragmatico. Il giornale in un editoriale legge la mano tesa di Nasrallah in forma gattopardiana, scettico anche su sunniti ed establishment, nonché sui cristiani (comunità con su cui la Francia rivendica un protettorato ideologico più forte di quello che fu amministrativo).
Hezbollah è un argomento complesso nelle complessità libanesi. L’organizzazione è accusata di aver nascosto quel nitrato per interessi – poteva essere utile per costruire eventuali armi in futuro, con cui compiere attacchi ibridi contro il nemico regionale iraniano, Israele. E l’esplosione al porto e i potenziali (possibili) interessi e sotterfugi di Hezbollah sono diventati l’emblema di quanto il gruppo inquini la società libanese (sebbene sia una realtà profonda e radicata, e similmente a una mafia, appunto, diffusa a livello di consensi locali). Quanto è credibile Nasrallah dipenderà anche da quanto sarà in grado di controllare le varie fazione interne: dalle meno aggressive a quelle invece più controllate dai Pasdaran.
Anche da lì passa (molto) del futuro del Libano, perché il gruppo è su una lista nera internazionale contro cui il governo americano ha alzato il livello di ingaggio. Macron ha inviato in Libano (scoop Reuters del 26 agosto) un concept paper di due pagine, un elenco di riforme politiche ed economiche che la classe dirigente libanese dovrebbe implementare per sbloccare un aiuto più ampio e completo da parte della Comunità internazionale (Onu, Fmi, Ue, Banca Mondiale etc) per ora bloccato dalle fratture interne. Tra queste riforme necessarie (sebbene non esplicitata nel documento francese, ma certamente dubbio che perplime chi dovrà fornire i mezzi per il bail-out), Nasrallah è chiamato a rinunciare all’ala militare dell’organizzazione, ossia all’accettazione di una riduzione di forza sovrana.
A cui contemporaneamente è chiamato l’Iran, altro aspetto delicato, ma la dipendenza del gruppo dai finanziamenti di Teheran è messa seriamente in discussione dall’indebolimento della Repubblica islamica: in piena crisi economica, colpiti dal coronavirus e dalle sanzioni statunitensi, i leader più conservatori e soprattutto i Pasdaran sono internazionalmente isolati. La marginalizzazione degli sponsor iraniani porterà Hezbollah a cercare nuove forme di dialogo – in Europa, tramite la porta francese? Potrebbe essere un modo per vedersi allentata parte della pressione statunitense – sebbene nel clima Usa/Ue potrebbe essere letta come un altro punto di discontinuità.
Adib, che ha studiato in Francia, nel suo primo intervento pubblico ha promesso “nuove e rapide riforme”. Si trova davanti la necessità di essere sufficientemente credibile per le collettività complesse di cui il Libano è composto, e fronteggia un’insoddisfazione che sfiora livelli pericolosi. Ossia ha il compito di ricostruire “un nuovo patto sociale”, per dirla con le parole con cui Macron tre settimane fa aveva individuato il futuro ruolo del capo del governo. Sull’impegno del francese pesa il periodo colonialista così come le nuove critiche a proposito di un’assertività a sfondo geopolitico.
Il Libano è d’altronde parte turbolenta, collegata al Medio Oriente, del Mediterraneo: sponda dell’East Med, su cui Parigi ha da tempo deciso di muoversi in modo più diretto – snodo attorno a cui Macron sta adesso costruendo la sua immagine internazionale, come spiegava Emmanuel Dupuy analizzando su queste colonne la visita di inizio mese.