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Libano, Mali, Bielorussia. Ecco dove va l’Italia. Parla la viceministra Del Re

Libano, Mali, Bielorussia, sono giorni caldi per la geopolitica internazionale. L’Italia è impegnata su ciascuno di questi fronti, e i fari che guidano l’impegno della Farnesina sono, da sempre,  la cooperazione e i diritti umani. Lo ha spiegato a Formiche.net la viceministra degli Esteri Emanuela Del Re, ospite al Meeting di Rimini all’evento organizzato in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Associazione Italiana Calciatori e Sky Sport, “Calcio e cooperazione giocano nella stessa squadra“.

Viceministra, lei è stata ospite al Meeting di Rimini per parlare dei valori che uniscono cooperazione e sport. Quali sono questi valori, e che cosa significa che la cooperazione passa per un corretto modello educativo?

La mia partecipazione al Meeting è stata molto importante perché abbiamo potuto, insieme alla Cooperazione allo sviluppo e quindi alla direzione generale della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri e all’Aics (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo), fare una proposta molto interessante che unisce i valori della cooperazione a quelli del mondo dello sport. In un progetto concreto che ha l’obiettivo di propagare l’approccio basato su valori di inclusività, di apertura e di competizione sana, ma anche di farlo diventare una forma di sviluppo vero e proprio per le persone in contesti difficili, in paesi fragili e in contesti di crisi.

Come fare tutto questo in maniera concreta?

Questa unione è particolarmente virtuosa, innanzitutto perché il mondo del calcio italiano è leader sul piano globale e sicuramente è sempre stato esempio di fair play e di coinvolgimento dei giovani. Poi perché calciatori come Simone Perrotta e Damiano Tommasi hanno una tale notorietà che permette di diffondere questi principi a tutti e in maniera diretta e incisiva. Erano poi presenti all’incontro anche Alessandro Del Piero e Sara Gama, presenza quest’ultima che ho particolarmente apprezzato come donna, perché tutte noi donna siamo “calciatrici della vita”. Anche lei infatti ha una grande responsabilità come “role model”, in quanto incarna proprio i principi più importanti della cooperazione, e per questo può portarli nel mondo.

Questi sono giorni caldi dal punto di vista climatico ma anche geopolitico. L’Italia ha da poco inviato una missione umanitaria in aiuto al Libano, il nostro paese come intende dare sostegno alla popolazione libanese martoriata dall’esplosione oltre che dal lockdown?

L’Italia in Libano ha un ruolo importante da sempre, sono decenni che abbiamo le nostre organizzazioni della società civile operative sul campo. Questo vuol dire che noi siamo stati vicini al popolo libanese sempre e in tutte le sue fasi storiche. Oggi però questa presenza assume un valore ancora più importante. Ci troviamo di fronte al momento più tragico di una crisi che però, per citare Gabriel Garcia Marquez, era già annunciata. Non ci aspettavamo certamente questa esplosione, ma sapevamo che la situazione era già particolarmente grave, sotto tutti i fronti: crisi energetica terribile, mancanza di produzione che rende il paese non indipendente, problemi di settarismo in tutto il Paese. Sapevamo quindi già che fosse necessario un continuo rapporto con il Libano.

C’è spazio per l’Italia in Libano anche nella situazione attuale, e qual è il ruolo che può giocare?

Nella situazione attuale alla cooperazione si unisce anche la necessità di intervenire sull’emergenza. Che vuol dire che dobbiamo assolutamente tamponare la crisi spaventosa di Beirut, senza dimenticarci però che se non facciamo un progetto di aiuto al Paese nel suo complesso, questo non potrà ripartire. Bisogna perciò fare dei discorsi a breve, medio e lungo termine. A tal fine la settimana scorsa ho fatto alcune riunioni con tutte le unità sul campo, per capire quali sono i problemi e ragionare su quello che è stato fatto e quello che si può fare. Pochi giorni fa ho poi tenuto una riunione con tutti gli attori istituzionali, compreso il ministero della Difesa, in un tavolo di coordinamento per il Libano in cui è presente anche Confindustria, Anci, Caritas.

Come si sta quindi procedendo?

Ci sono due ordini di approccio. Da un lato è olistico, per affrontare l’emergenza e aiutare il paese nella sua interezza, senza dimenticare i gruppi vulnerabili sparsi ovunque. Ma allo stesso tempo è necessario avere un approccio multi-stake-holders che vede tutti gli attori coinvolti e dialoga con loro. In questo momento c’è molta necessità di tutto questo. Anche perché, ad esempio, avremo una fase di ricostruzione importante. Dopo la guerra dei Balcani c’è stato il famoso Stability plan, in cui era previsto un programma di ricostruzione molto articolato. Credo e auspico che arriveremo a fare una cosa simile in Libano. Con l’aiuto di tutti.

Volando verso l’Africa, martedì la capitale del Mali si è svegliata al suono dei kalashnikov. Secondo gli analisti il golpe rischia di rappresentare un brutto colpo per Macron. Un eventuale insuccesso militare della Francia può rappresentare una minaccia anche per la missione italiana?

Noi stiamo facendo un appello perché si ristabilisca l’ordine costituzionale e che si liberino i prigionieri politici. Il nostro auspicio è che ci sia un nuovo ordine assolutamente rispettoso delle leggi. L’episodio del Mali però ci dice, fondamentalmente, che è giunta l’ora di guardare al Sahel con maggiore attenzione. Questo lo dico all’Unione europea. L’impegno francese è noto, ma allo stesso modo anche l’impegno italiano. Negli ultimi due anni abbiamo aperto due ambasciate, una in Burkina Faso e l’altra in Niger. Abbiamo una piccola presenza in Niger. Siamo estremamente attenti rispetto all’area, ed è giunta l’ora che anche l’Unione europea si renda conto del bisogno di maggiore impegno, non solo militare. Bisogna fare un progetto più ampio che risponda alle istanze delle popolazioni.

Bruxelles ha annunciato sanzioni mirate per quanto sta succedendo in Bielorussia, non riconoscendo il risultato delle elezioni che hanno visto Lukashenko uscirne vincitore. Qual è l’auspicio dell’Italia e del governo italiano? Serve una ripresa del dialogo?

Noi naturalmente siamo sempre preoccupati, in tutti i Paesi del mondo, che vengano rispettati i diritti umani. È uno degli elementi fondamentali della nostra politica, siamo portatori di questi valori, anche all’interno del Consiglio delle Nazioni Unite. Lukashenko è al potere da tantissimi anni, è stato sempre seguito, e lo è in questa fase in particolare. La protesta di piazza pacifica è l’indicazione di un momento di transizione importante all’interno del quale noi dobbiamo puntare, soprattutto, a un processo democratico.

Oggi su Formiche.net spieghiamo che l’avvelenamento dell’attivista Navalny, simbolo dell’opposizione a Putin, potrebbe essere molto problematico per il presidente russo. La vicenda, seppure non riconducibile a Putin se non altro per mancanza di prove, è stata legata dagli analisti a quella bielorussa. Mosca rischia di essere ancora più isolata?

Io ho visto diversi episodi di questo tipo e sono molto dispiaciuta da quest’ultimo episodio gravissimo. Ha colpito una persona che ha un ruolo politico e c’è un grande dolore, prima di tutto come cittadina del mondo. Non abbiamo però elementi, per il momento, e quindi non possiamo esprimere giudizi. Certamente andrà fatta chiarezza, questo sì. Ma in questo momento possiamo solamente sperare che Navalny ce la faccia ad uscire dal coma e a rimettersi in salute. Poi le conseguenze politiche si vedranno. È ancora impossibile esprimersi se non si hanno elementi concreti.

La pandemia come ha modificato le relazioni internazionali? C’è bisogno di più cooperazione contro questo nemico invisibile del virus, che ci rende tutti più sospettosi?

Dal mio punto di osservazione privilegiato, che mi permette di vedere a tutto campo, devo dire che nonostante la pandemia ovviamente sia un motivo di crisi spaventosa con risvolti molto tragici, allo stesso tempo, eccetto alcuni casi di radicalizzazione delle posizioni, nell’ambito dell’Unione europea si è verificata molta unità. Non avevo mai sentito parlare così tanto di cooperazione e di “squadra europea”, con la partecipazione attiva e convinta di tutti i Paesi europei, anche da parte di Paesi solitamente più riluttanti. Si parla spesso, negli incontri, di Paesi fragili da aiutare, di una visione del mondo basata su partenariati alla pari in cui l’Europa si pone effettivamente come paese collaborativo che però non fa differenze e che cerca di costruite le strategia attraverso un dialogo diretto con i Paesi fragili. Credo che da questo punto di vista la pandemia abbia portato almeno questo frutto positivo.

Che clima ha trovato al Meeting di Rimini, c’è bisogno di più confronto e dialogo per costruire un orizzonte comune?

Il motivo del successo della formula di Rimini, che va avanti dagli anni settanta, è il fatto di voler discutere. Io credo che, mentre da un lato in questo momento spesso la discussione viene interpretata come espressione di un singolo che afferma le proprie idee in maniera decisa, in generale ci si auspica sempre un contraddittorio che permetta il dialogo tra persone che espongono in maniera chiara pensieri diversi. Il Meeting di Rimini, frequentato da politici di tutti gli schieramenti, in realtà è un luogo dove appunto questo dialogo, questa espressione di idee diverse tra più persone, avviene. Ed è un modello che rispecchia la grandissima parte dell’opinione pubblica italiana: la voglia di discutere le questioni in maniera approfondita e pacata.



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