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Libia, ora arriva il piano Usa per la stabilità

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L’ambasciatore statunitense in Libia, Richard Norland, ha parlato della situazione nel Paese dando la sua visione su come arrivare a una possibile stabilizzazione. Obiettivo che in questo momento, secondo quanto detto dalla feluca americana al quotidiano egiziano al Ahram, è possibile. Anche grazie al raggiungimento di un punto di stallo ottenuto con il respingimento delle forze ribelli in Cirenaica e la riconquista della Tripolitania da parte del governo onusiano Gna. Contesto creatosi grazie all’aiuto che la Turchia ha fornito a Tripoli e alla non-volontà delle forze esterne dietro ai ribelli (Egitto, Emirati Arabi e Russia) di spingere sull’acceleratore dei combattimenti.

Ed è qui un punto importante per Norland: o si inizia a pensare sul serio alla stabilizzazione del Paese, sfruttando la situazione di stallo e il cessate il fuoco che dura da varie settimane, o il rischio è che una riattivazione degli scontri possa portare a una guerra totale. L’ambasciatore americano parla dal Cairo, dove ha avuto un colloquio con Agila Saleh, presidente del parlamento libico HoR (che l’Onu riconosce come legittimo e integra nel programma di pacificazione). Saleh in questo momento è volto potabile dell’opposizione al Gna e due mesi fa ha lanciato un piano per il dialogo tra Est e Ovest, le aree del Paese spaccate da anni di conflitto (nota: ci sarebbe anche il Sud, il Fezzan, regione i cui confini si perdono nel Sahara, teatro di traffici d’ogni genere, territorio tribale in cui programmi e prescrizione faticano ad attecchire. È uno dei problemi poco citati riguardo ai tentativi di stabilizzare la Libia).

Che l’intervista, lucida e diretta, di Norland esca dopo il dialogo con Saleh è significativo. Il piano di Saleh, infatti, presenta dei problemi. Non è certamente equidistante, anche perché lui ha legami profondi con la Cirenaica e relazioni con i Paesi che sostengono le istanze della regione. Gli stessi che hanno avallato il progetto di rovesciare il governo di Tripoli lanciato dal capo miliziano dei ribelli, Khalifa Haftar. Ma è un piano per il dialogo, e le posizioni di Saleh bene recepite da Egitto e Russia dimostrano che quanto meno c‘è una disponibilità a parlare nell’ottica di un programma politico e non militare.

Noland ha parlato chiaramente chiedendo che a Sirte, città sul confine regionale interno tra Cirenaica e Tripolitania, non si perda il controllo. Lo scontro militare potrebbe essere un’escalation deleteria. Ha chiesto il ritiro delle milizie di entrambe le fazioni (che significa, di fatto, che Sirte torni sotto il controllo amministrativo del governo, liberandola dall’occupazione dei ribelli), e invitato l’Egitto alla calma. Dalla posizione statunitense, non c’è spazio per azioni aggressive: Norland spiega di comprendere le ragioni che hanno portato il Cairo a minacciare un intervento armato in Libia — se il Gna avesse spinto l’azione a Sirte o nella città di Jufra, che ospita una base militare usata dagli sponsor dei ribelli — ma chiede cautela.

Al momento, spiega, c’è da mantenere i nervi saldi e accettare qualche boccone amaro per raggiungere un quadro di stabilizzazione da cui tutti potrebbero trarre vantaggio; per esempio, la Libia potrebbe tornare a esportare il milione e passa di barili che attualmente sono congelati per via della guerra e di mosse tattiche dei ribelli e dei russi (da tempo gli Usa chiedono di provvedere alla demilitarizzazione della Mezzaluna petrolifera). E sulla Russia, allora: sostenendo quanto sia impossibile pensare a una pace se gli attori esterni continuano a inviare armi in Libia, Norland ha parlato anche di Mosca. Sul lato cirenaico ci sono contractor della Wagner, società che il Cremlino usa per il lavoro sporco: il governo russo, dice il diplomatico americano, può essere incluso nel dialogo, ma a patto che segua un comportamento positivo. Mosca vuol tutelare i propri interessi, come tutti d’altronde, ma non può farlo con azioni destabilizzanti se vuol essere della partita negoziale.

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