La decisione americana di colpire, sia pure simbolicamente, gli autori dell’assassinio, a Ginevra nel 1990, dell’ambasciatore Kazem Rajavi, personalità di grande prestigio nella Resistenza iraniana, ha un forte significato politico, oltre che morale. Nonostante i killer e i loro mandanti fossero perfettamente conosciuti da trent’anni, nulla è stato sino a ieri realmente fatto dalla Comunità internazionale per assicurare i criminali del regime iraniano alla Giustizia. Né alcun serio passo — come l’avvio di una Commissione internazionale d’indagine, invocata da anni da molte Ong tra cui In search of justice e Amnesty — è stato fatto per rendere giustizia alle 30.000 vittime dell’immane massacro ordinato dall’ayatollah Ruhollah Khomeini nell’estate del 1988. Un gravissimo crimine contro l’umanità perpetrato — senza ormai più alcun’ombra di dubbio — dal regime iraniano, con la partecipazione diretta di personalità importanti dell’attuale governo di Hassan Rouhani. Un crimine che rientra nella definizione di “genocidio” sancita dalle Nazioni Unite e da molte legislazioni nazionali.
Non è quindi, quella di ieri, un’azione — per quanto assai significativa — riconducibile esclusivamente a quella “massima pressione” che il presidente statunitense Donald Trump intende ancor più esercitare contro l’Iran: specialmente dopo i fatti di Beirut; la deludente sentenza sul caso Hariri causata dall’eliminazione sistematica di testimoni e prove da parte del partito Hezbollah, le arroganti dichiarazioni sul traffico di armi che il regime riattiverebbe immediatamente se l’embargo svanisse; la violazione ostentata degli impegni alla limitazione dell’arricchimento dell’uranio; le barriere di ogni tipo sollevate dagli iraniani per impedire le ispezioni dell’Aiea; le operazioni terroristiche sostenute e dirette da Teheran contro le forze internazionali e americane in particolare in Iraq, Afghanistan; il dilagante sostegno al terrorismo internazionale.
Il dipartimento di Stato ha infatti sottolineato come le sanzioni ai 13 killer dell’ambasciatore Rajavi a Ginevra e a un altro dei 14 iraniani responsabili di “massicce violazioni dei diritti umani” intendano essere un monito precisi all’Iran “leading state sponsor of terror”, e “un messaggio di sostegno alle vittime in tutto il mondo alle vittime della Repubblica Islamica dell’Iran che gli Stati Uniti perseguiranno attivamente quanti si rendono responsabili di diffondere terrore e violenza”.
I fatti del 1990 a Ginevra, per i quali è tuttora pendente l’azione giudiziaria Svizzera, sono un tutt’uno con gli eventi di quella terribile estate di due anni prima — il massacro del 1988 —, sui quali l’ambasciatore Rajavi era impegnato a accendere ogni possibile riflettore delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. Come era stato deciso, e quali prove abbiamo oggi di quell’orrendo misfatto genocidario?
Nonostante gli autori del massacro del 1988 non siano mai stati incriminati sono moltissime le testimonianze dirette persino dei più alti responsabili del regime iraniano. All’origine di tutto stava una fatwa dell’ayatollah Khomeini, in questi termini: “Chiunque, a qualunque livello continui ad appartenere ai Monafeqin (il termine dispregiativo usato dal regime per definire i Mujaheddin del popolo, ndr), deve essere giustiziato. Annientate i nemici dell’Islam immediatamente”. E proseguiva dicendo: “Quelli che si trovano nelle carceri di tutto il paese e continuano a rimanere decisi a voler appoggiare il Mek, stanno dichiarando guerra a Dio e sono condannati all’esecuzione. È ingenuo dimostrare pietà per quelli che dichiarano guerra a Dio”.
Il 9 agosto 2016 è stata resa nota per la prima volta una registrazione audio, in cui Hossein Ali Montazeri, l’ex erede designato di Khomeini, ammette che il massacro è avvenuto ed è stato ordinato ai più alti livelli. Montazeri accusa i membri della “Commissione della morte” (il 15 agosto 1988) di star compiendo un crimine contro l’umanità. La registrazione di Montazeri ha rivelato nuove informazioni sulla portata e la vastità del massacro dei prigionieri politici di quel tempo. Ha provocato un’ondata di indignazione e rivolta in Iran e in particolare tra gli esponenti del regime che per più di due decenni hanno tentato di imporre un silenzio assoluto sul massacro.
La clip audio ha anche dimostrato che i leader del regime iraniano, che hanno ricoperto posizioni di potere sin dalla nascita dell’establishment del regime, devono essere perseguiti per aver commesso uno dei più orribili crimini contro l’umanità. Montazeri, che in seguito venne poi escluso come erede di Khomeini proprio per queste sue dichiarazioni, dice ai membri della “Commissione della Morte”, Hossein-Ali Nayyeri, giudice della sharia del regime, Morteza Eshraqi, procuratore del regime, Ebrahim Raeesi, vice-procuratore, e Mostafa Pourmohammadi, rappresentante del ministero dell’Intelligence e della sicurezza (Mois): “Il più grosso crimine commesso durante il periodo della Repubblica Islamica, per il quale la storia ci condannerà, è stato commesso da voi. I vostri nomi in futuro verranno impressi negli annali della storia, tra quelli dei criminali”. E aggiunge: “Giustiziare queste persone nonostante non ci siano state nuove azioni (dei prigionieri) significa che l’intero sistema giudiziario è colpevole”.
Maryam Rajavi, la presidente eletta della Resistenza Iraniana, ha definito questa registrazione audio “un documento storico”. Ha detto che questa registrazione attesta nella maniera più decisa possibile sia il rifiuto ad arrendersi dei Mujaheddin prigionieri politici, che la loro perseveranza nell’impegno preso verso il popolo iraniano. La maggioranza dei prigionieri giustiziati stavano scontando le pene detentive per le loro attività politiche o avevano già finito di scontarle, ma vennero lo stesso tenuti in carcere per essere eliminati. Altri erano stati già arrestati e poi rilasciati, ma furono riarrestati e giustiziati .
Finora praticamente tutti i governi sapevano del regno del terrore instaurato dalla Rivoluzione islamica, della campagna del governo iraniano di omicidi all’estero contro intellettuali e attivisti dell’opposizione alla fine degli anni Novanta. Ma, tragicamente, c’è ancora insufficiente consapevolezza pubblica sulle esecuzioni del 1988. Non solo non c’è stata incriminazione dei criminali che hanno orchestrato e compiuto gli spaventosi omicidi di quell’estate, ma il regime continua persino a negare che siano accaduti. Il regime iraniano continua a negare l’eliminazione dei prigionieri dell’opposizione del 1988. Nessuno degli autori o degli ideatori è stato assicurato alla giustizia e nessuno degli alti esponenti del regime, compreso l’attuale leader supremo Ali Khamenei, è stato incriminato. Questo silenzio dilagante deve essere infranto. L’Onu deve lanciare un’indagine indipendente su uno dei più orribili crimini dell’umanità dalla Seconda guerra mondiale.