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Vi racconto la parabola di M5S, da MoVimento a partito. La versione di Becchi

Me ne andai dal MoVimento 5 Stelle con una intervista rilasciata a Formiche.net in cui dicevo che il MoVimento alla fine si sarebbe accordato col Pd stabilmente. Per questo fui subito attaccato da chi riteneva che una cosa del genere fosse impossibile. Ora, dopo quasi un anno di governo col Pd, si è votato sulla piattaforma Rousseau per dare mandato al capo politico di fare accordi con i partiti tradizionali in vista delle amministrative. E il sì è passato, ma senza voto bulgaro.

Ci si potrebbe domandare, perché il voto proprio adesso? E con quei due quesiti formulati soltanto per affrontare i temi a livello locale? Qui, probabilmente, c’è la manina di Davide Casaleggio, che in qualche modo cerca ancora di far passare i principi del padre (fondatore del Movimento). Tanto che è dovuto intervenire Luigi Di Maio, in un modo che non era mai accaduto prima con le votazioni in corso, per evitare una bocciatura della linea.

La linea di un accordo col Pd è passata solo a livello locale e con difficoltà. Quando ci sarà una nuova votazione per un accordo stabile a livello nazionale col Pd ci saranno forti mal di pancia e non è detto che non si vada incontro ad una scissione. Così per la regola dei due mandati: qui si è votato solo per le amministrative e per fare un piacere a Virginia Raggi che aveva comunque deciso di correre. Certo, nulla vieta di superare la regola anche a livello nazionale, ma anche questo provocherà dei mal di pancia.

Insomma, questo voto non è risolutivo per le sorti del MoVimento. Certo, senza doppio mandato e alleanza col Pd che Movimento 5 Stelle è? Di Maio parla di evoluzione, ma se si mettono in discussione i suoi principi fondanti se ne può davvero parlare? Si potrebbe sostenere la tesi che non ha senso accusare il M5S di incoerenza, perché doppio mandato e divieto di alleanze erano istanze sbagliate e ora, quindi, cambiando idea avrebbe fatto una cosa saggia.

Ma un MoVimento nasce con dei principi, giusti o sbagliati che siano. Se tutti quei principi su cui si fonda cadono può dirsi ugualmente che sia un bene perché erano sbagliati? E soprattutto, chi decide che erano sbagliati? Facciamo un esempio: un partito di ispirazione liberale sostiene d’improvviso che è necessario un forte intervento dello Stato nell’economia. Si potrà ritenere giusto o sbagliato l’intervento dello Stato nell’economia, ma se un partito liberale sostiene questa tesi non è più liberale. Lo stesso dovrebbe valere per il Movimento 5 Stelle che aveva dei principi e che ora non li ha più. Il vincolo doppio mandato significa restituire la politica ai cittadini, far sì che la politica non diventi una professione ma sia un servizio. Può piacere o no, ma non è una cosa necessariamente sbagliata. Se d’improvviso sostengo la cosa opposta posso dire che si tratta di una evoluzione positiva?

Ormai il Movimento 5 Stelle ha cambiato pelle senza cambiare nome. Beppe Grillo ha in mente un partito di sinistra coalizzato stabilmente sia a livello locale che nazionale col Pd. C’è riuscito in Liguria, sacrificando però l’ex capogruppo del Movimento 5 Stelle che non ha accettato l’accordo col Pd, ci proverà anche nelle Marche? Chi lo sa. Insomma, questo accordo tra Pd e Movimento 5 Stelle è ancora tutto da costruire e incontra ancora un certo numero di oppositori sia nella sua base (come dimostra questa votazione) che in quella parte del MoVimento incarnata da Alessandro Di Battista, che non accetta la deriva voluta da Grillo e approvata (per ora) da Di Maio.

Un MoVimento che ha trasformato il suo essere postideologico nella mera difesa del potere acquisito, questo è diventato il M5S, si unisce ad un partito il Pd che ha ormai perso l’ispirazione  ideologica che aveva, ed è ormai privo di una sua identità. Il risultato sarà una coalizione che avrà per scopo la mera  conservazione del potere. Un MoVimento nato per sconfiggere la casta si unisce alla casta per renderla ancora più forte. Ma gli elettori non dimenticheranno che avevano votato un partito anti casta non certo perché esso finisse col rafforzarla. Per votare, comunque, a livello nazionale c’è sicuramente tempo.

Di Maio, ora, accetta la linea di Grillo e quindi è disponibile ad un accordo con il Pd – nazionale o locale -, ma in realtà si tiene le mani libere, oggi col Pd domani chissà.  Del resto è stata voltata la possibilità di accordi con partiti tradizionali, non necessariamente solo il Pd. Con una legge elettorale proporzionale un partito intorno al 12% può stare con chiunque. Resta però un messaggio: nessun desiderio più di cambiamento, ma solo di restare comunque e ad ogni costo al potere.

P.S. Circolano un sacco di fesserie su Di Maio che vuole ritornare a fare il capo. Gli va benissimo continuare così senza dover fare il parafulmine per le sconfitte che ci saranno alle regionali di settembre. A Di Maio interessa il controllo dei gruppi parlamentari e ora ha raggiunto lo scopo. La vera resa dei conti ci sarà agli Stati Generali.

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