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Più Francia che Libano. La visita di Macron a Beirut secondo Darnis (Iai)

“Aiutaci a cacciare i politici” urlavano i libanesi a Emmanuel Macron, capo di stato europeo che s’è precipitato in Libano a meno di quarantott’ore dall’enorme esplosione che ha distrutto l’aerea portuale della capitale libanese e squarciato il Paese. “Aiutateci! Rivoluzione!”, lo shock e il dolore si sono rapidamente trasformati in collera: il presidente Michel Aoun è l’obiettivo della rabbia dei suoi cittadini, che ora accusano la classe politica di corruzione e mala gestione – il caso del nitrato di ammonio per anni stipato tra incuria e disinteresse nel deposito esploso tre giorni fa diventa un simbolo del disinteresse che i politici hanno perso per il bene comune.

Perché Macron è corso in Libano? “La presenza di Macron a Beirut subito dopo la catastrofe obbedisce a delle coordinate tradizionali”, spiega a Formiche.net Jean-Pierre Darnis, docente dell’Université Côte d’Azur, advisor dello Iai e fellow della Foundation for Strategic Research (il più importante dei think tank indipendenti francesi). “Non dimentichiamo che la Francia ha storicamente esercitato un potere diretto sul Libano, che sebbene perso alla fine del ventesimo secolo è restato nel Paese sotto forma di un interesse molto forte, con una comunità franco-libanese piuttosto importante. Anche tra le élite ci sono diversi francofoni e persone con doppio passaporto, oppure i tanti libanesi che vivono a Parigi”. Lo stesso presidente Aoun è passato per la Francia sia durante la formazione militare, alla École supérieure de guerre, sia durante i 15 anni di esilio (ha vissuto a Parigi dal 1990 al 2005).

“La visita di Macron – continua Darnis – ha come significato dunque un’immediata solidarietà, che si allinea sulla sensibilità dei francesi verso un paese con cui ci sono profondi contatti. Possiamo dire senza sbagliarci troppo che la stragrande maggioranza delle famiglie francesi conosce delle persone libanesi, o franco-libanesi. E questo è un aspetto che ha rilevanza”.

Come è stata vista dai francesi la visita? “In Francia ci sono state anche delle critiche, però tra i francesi c’è una forte coscienza critica sulla condizione politica interna libanese. Il gioco del clientelismo religioso, nonché la mancanza di alcuni diritti fondamentali in Libano ha creato nel dibattito francese una consapevolezza negativa nei confronti delle dinamiche del potere a Beirut che ormai sono molto contestate. Ricordiamo che Parigi ha ultimamente condizionato gli aiuti alla necessità di riforme, perché in molti, intellettuali e politici, hanno fatto pressione al governo affinché fosse più incisivo con Beirut”.

Sostanzialmente si inizia a ritenere “inaccettabile” che un Paese così vicino alla Francia sia una sorta di “Stato post-tribale”, spiega l’esperto. Ricordiamo inoltre che la Francia, insieme all’Italia, ha un ruolo centrale nella Finul, come si chiama secondo l’acronimo francese l’Unifil, la forza d’interposizione militare delle Nazioni Unite che dal 2006 si trova al sud del Libano sul confine con Israele: “Certamente, fu infatti il presidente Chirac, insieme a Romano Prodi, a lanciare l’idea di creare quel contingente”.

“Però più che cercare letture geopolitiche o di altro genere, resterei sulla volontà di sottolineare la sovranità del popolo, la simbologia del popolo francese molto vicino a quello libanese, che a mio avviso è alla base del viaggio lampo a Beirut di Macron”, spiega Darnis. E considerando le reazioni avute durante quelle ore è un obiettivo ottenuto: “Poi c’è la presenza politica, ossia il voler riaffermare la necessità di riformare quelle criticità interne su cui l’Eliseo vuol fare pressioni”. Una questione che riguarda i libanesi, ma che ha effetto diretto sui francesi.

(Foto: Twitter, @EmmanuelMacron)

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