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Macron visita Beirut, ma pensa a tutto il Mediterraneo. L’analisi di Dupuy (Ipse) 

La visita del presidente francese in Libano, subito dopo l’esplosione, costituisce una pietra miliare della nuova narrativa francese sull’importanza dell’agenda mediterranea per l’Europa e le critiche recenti e costanti sul nuovo gioco di poteri nel Mar Mediterraneo orientale”, spiega a Formiche.net Emmanuel Dupuy, presidente dell’Institut Prospective et Securité en Europe (Ipse), think tank specializzato in questioni di difesa e sicurezza, in particolare dal punto di vista eurafricano.

Si parla, con un orizzonte più geopolitico e strategico, del viaggio lampo di Emmanuel Macron a Beirut, che ieri, a meno di quarantott’ore dalla tragedia che ha sventrato il porto shockando la capitale libanese (e il mondo intero), si è precipitato — primo tra tutti i leader mondiali — a mostrare di persona la sua vicinanza ai libanesi. Accolto dai cittadini che gli chiedevano “aiuto” contro l’inadeguatezza del sistema politico locale, Macron ha promesso aiuti e seguito una traiettoria istintiva — i libanesi hanno rapporti culturali profondo con i francesi — sovrapposta a una più ragionata.

“La visita in Libano offre al presidente francese una doppia occasione per denunciare il nuovo desiquilibrium geopolitico legato alla politica aggressiva della Turchia (Siria, Libia, gestione dei migranti siriani da parte di Ankara, esplorazioni di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale, tra i punti) e al crollo delle policy americane nell’area Mena, che ha permesso così alla Russia di diventare il nuovo broker di potere a Levante”, continua Dupuy.

La lettura è di carattere strategico, dunque: Macron ha sfruttato spazi creati nel tempo. La vicenda di Beirut è stata vista come un’ottima opportunità. “Macron sta cercando di costruire una forte immagine di politica estera per la Francia. E potrebbe aver anche pensato ai suoi predecessori nell’organizzare la missione. Per esempio al viaggio di Jacques Chirac a Beyrouth dopo l’assassinio di Rafik Hariri nel 2005 o al viaggio di Nicolas Sarkozy a Bengasi e Tripoli sul crollo del regime di Gheddafi nel 2011 o alla visita di Francois Hollande a Timbuctu nel 2013, subito dopo la sua liberazione dei gruppi armati terroristici di Djihadi”. E inoltre, l’immagine di un presidente francese acclamato dai libanesi “è un buon modo anche per cancellare le critiche interne sull’incapacità di di affrontare correttamente i problemi politici all’indomani del periodo di reclusione del Covid”, fa notare l‘analista francese.

A Parigi come è stata percepita la visita? “In Francia sono già iniziate aspre critiche, la visita è anche vista come una sorta di ingerenza, poiché alcuni contestano a Macron di aver dato l’impressione che le sue dure parole contro la leadership politica libanese siano sembrate motivate da una posizione nostalgica riguardo al Libano come  protettorato francese”, aggiunge il presidente dell’Ipse.

Oltre a tutto ciò, il crollo dello stato libanese (economico, politico, finanziario) offre al presidente francese l’opportunità di dire che sta parlando a nome dell’Europa, o sbaglio? “Certo. un’occasione rara e unica per confermare il suo ruolo in Ue, che gli permette di sottolineare che è lui la vera voce geopolitica dell’Europa”.

Ma c’è anche una questione collegata alle relazioni franco-libanesi? “Beh, poiché 50mila libanesi vivono e lavorano in Francia, occupando anche attività di alto livello, Macron potrebbe anche aver pensato che un presidente francese che agisce da protettore del Libano gli offra la possibilità di dimostrare l’interesse della Francia a rafforzare le relazioni nella prospettiva della volontà della Francia di partecipare al processo di ricostruzione siriana”, chiude Dupuy.

 


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