Sale la tensione tra Stati Uniti e Cina nel Pacifico. Dopo aver accusato gli americani di spiare le esercitazioni che la marina cinese sta effettuando nelle acque del Mare di Bohai (a pochi chilometri da Pechino), le forze armate cinesi hanno lanciato due missili balistici antinave nel Mar cinese meridionale: un chiaro messaggio per la flotta statunitense presente nella regione. “Se la Cina pensa che lanciare missili balistici possa intimidire in qualche modo gli Stati Uniti e i suoi alleati, si sbaglia di grosso”, ha ribattuto l’inviato speciale del presidente Donald Trump per il controllo degli armamenti Marshall Billingslea.
IL LANCIO
La notizia è arrivata ieri da fonti vicine alle forze militari di Pechino riportate dal South Cina Morning Post: l’Esercito popolare di liberazione ha lanciato due missili balistici (del tipo Df-26 e Df-21) nelle acque comprese tra l’isola di Hainan e le isole Paracelso, contese con altri stati rivieraschi. Entrambi i vettori, secondo il sito specializzato Missile threat del Center for strategic e international studies, sono lanciati da piattaforme mobili terrestri, alimentati da propellente solido e in grado di colpire obiettivi navali. Se, infatti, il Df-26 è stato definito come un “aircraft carrier killer”, le autorità cinesi hanno definito la variante D del Df-21 come il primo missile balistico antinave. Capaci di trasportare sia testate nucleari sia convenzionali, i due missili hanno due gittate diverse: il Df-26 ha una portata compresa tra i 3.000 e i 4.000 chilometri (in grado di colpire la base statunitense di Guam); il Df-21 una gittata massima di 2.150 chilometri.
GLI OBIETTIVI
I dubbi su eventuali destinatari del messaggio missilistico sono già stati dissipati da Song Zhongping, esperto di affari militari cinesi, sul Global Times, il quotidiano online con cui Pechino diffonde la propria narrazione del mondo. L’utilizzo di questi vettori, ha spiegato Zhongping, consentirebbe all’esercito cinese di colpire più efficacemente le portaerei statunitensi. C’è poi l’interesse strategico di rafforzare le capacità di anti-access/area-denial (A2AD), cioè di creare bolle protette contro eventuali avversari, tenendo le forze altrui lontane dalle proprie zone di interesse. Per questo, da diversi anni la Cina ha provveduto ad estendere isolotti e reef, in particolare negli arcipelaghi Paracel e Spratly, dotandoli di infrastrutture militari, sistemi di difesa e dispiegando aerei da combattimento. Lo spiega la ricerca prodotta dal Congressional research service, secondo cui si far largo l’ipotesi che l’esercito cinese stia pensando di accoppiare questi vettori con la testata a planata ipersonica (Df-zf o Wu-14) sviluppata da Pechino, tecnologia ritenuta capace di cambiare gli equilibri (tant’è che gli Usa stanno cercando di recuperare in fretta).
LA MINACCIA CINESE
La fonte interpellata dalla testata asiatica sul test cinese ha supportato l’idea che questo lancio sia stata una riposta alla presunta azione di spionaggio portata avanti da Washington, lo scorso martedì, a largo delle coste del Mar di Bohai e alla presenza americana nella regione. Il portavoce del ministero della Difesa Wu Qian ha affermato che “lo sconfinamento ha intaccato in modo serio le normali attività di addestramento cinesi e violato le norme di comportamento per la sicurezza marittima e area tra Cina e Stati Uniti, così come importanti norme internazionali”. L’azione statunitense, ha aggiunto, “avrebbe potuto facilmente determinare fraintendimenti o incidenti”. Oggi, commentando anche il test dei missili cinesi, ha detto che “la Cina non ballerà con gli Usa, né gli permetterà di scherzare; abbiamo adottato misure forti a difesa della nostra sovranità e dei nostri interessi di sicurezza e sviluppo”.
TRA VOLI E PRETESTI
Eppure, in una nota divulgata dalla Cnn, le forze della US Air Force presenti nel Pacifico hanno confermato il volo di un U-2, ma hanno smentito le accuse cinesi. Sviluppato dagli Usa durante il confronto bipolare (e immortalato nel celebre film “Il ponte delle spie”) con l’intento di dotarsi di un velivolo in grado di volare ad alta quota e capace di sorvegliare gli sviluppi militari dell’avversario, il velivolo è stato aggiornato con i più recenti ritrovati tecnologici. “Il sorvolo è raro”, ha affermato Carl Schuster, analista militare e già direttore delle operazioni al Us pacific command’s joint intelligence center. Oggigiorno, “l’U-2 oggi ha un sistema di sorveglianza che riesce ad operare a lunga distanza: monta sensori che consentono di monitorare e fotografare da diverse miglia di distanza”, ha continuato. Poiché non è in grado di abbattere l’aereo, ha sostenuto ancora l’analista statunitense, la Cina utilizza la storia dell’U-2 per trasformare la faccenda in una questione politica.