All’inizio di settembre del 2004, un aereo di linea diretto a Beslan fu costretto a invertire la rotta e tornare a Rostov perché al suo interno c’era una donna priva di sensi. Erano i giorni appena successivi alla crisi degli ostaggi, quando le forze speciali russe risolsero l’occupazione della Scuola Numero Uno con un intervento drammatico, paradigma storico di come non affrontare una situazione del genere. Gasarono l’edificio, morirono 386 persone, tra cui almeno 186 bambini: da allora non si può nominare la città dell’Ossezia Settentrionale senza pietà per quella mattanza ordinata dal Cremlino.
Torniamo a quell’aereo: la donna priva di sensi era la più famosa giornalista d’inchiesta della storia russa, Anna Stepanovna Politkovskaja, notissima nel mondo per i reportage sulla guerra cecena che imbarazzavano Mosca. Quella sera, mentre era diretta a raccontare un’altra storia non meno imbarazzante per il governo russo, aveva bevuto un tea a bordo dell’aereo e poco dopo aveva iniziato a sentirsi male. Racconterà in un pezzo da manuale sul Guardian la sua esperienza: il giornale inglese le aveva affidato un titolo netto, “Avvelenata da Putin”.
La storia di Politkovskaja — uccisa due anni più tardi da un sicario nell’ascensore della sua casa di Mosca, il 7 ottobre, giorno del compleanno di Vladimir Putin — è resa terribilmente attuale da quanto successo oggi stesso a un altro nemico del presidente (e non solo): personaggio iconico e mediatico dell’opposizione russa, Alexei Navalny. Il suo aereo è stato costretto a un atterraggio di emergenza a Omsk, in Siberia, perché poco dopo aver bevuto un tea ha iniziato a sentirsi male. Ora è in coma nel reparto di terapia intensiva, il suo staff comunica che le condizioni sono gravi e che credono si sia trattato di avvelenamento.
“Procedura operativa standard”, dice su Twitter Steven Hall, un ex operativo della Cia ora molto attento alle questioni che escono dalla Russia. Alyna Polyakova, presidente del Cepa (think tank sulla stessa via della Casa Bianca), ricorda che “il Cremlino avvelena i suoi oppositori da decenni. È un modello inquietante di un regime sporco e corrotto che è sempre più insicuro e ansioso”. La notizia di Navalny, continua una delle più famose analiste americane sulla Russia, deve servire da promemoria sul perché non è questo il momento di “un reset” sui rapporti con Mosca.
La questione è stata recentemente elemento di dibattito negli Stati Uniti (dibattito di nicchia, a cui molti cittadini statunitensi sono tutt’altro che interessati): Politico Magazine ha pubblicato una lettera aperta in cui diversi policy-planner americani che chiedevano di ripensare le visioni sulla Russia; altrettanti diplomatici ed esperti (provenienti dai mondi di intelligence, dipartimento di Stato e Pentagono) sempre su Politico hanno risposto argomentando l’opposto.
La vicenda di Navalny è dura per Putin, sebbene difficilmente si potrà collegare l’avvelenamento direttamente al presidente (per ora le prove sono inesistenti). Si collega però alla crisi in e con la Bielorussia, e appesantisce l’immagine del presidente sul piano internazionale. Immagine che ha già varie crepe, alcune legate per esempio a un altro avvelenamento tentato pochi anni fa, quello contro Sergei Skripal, l’ex spia del Gru che i colleghi del servizio segreto militare hanno provato a eliminare con l’agente nervino Novichok mentre si trovata a Salisbury – città inglese in cui si nascondeva dopo aver disertato e fornito informazioni all’Mi6 di Sua Maestà.
Un episodio che ha reso la Russia ancora più isolata, legata ancora a un linguaggio comportamentale vecchio di decenni. Fattore – insieme all’avventurismo aggressivo su molti dossier delicati, alcuni resi delicati e instabili proprio secondo quel programma avventuristico – che impedisce il reset nei rapporti. Impedisce a Putin di passare come un honest-broker, ambizione continua del presidente quando si inserisce nelle varie crisi.
Navalny soffre un problema al fegato: dalle informazioni che arrivano ai media dal suo team pare che attualmente il sangue “stia lavorando bene” invece. C’è in programma il trasferimento in un ospedale europeo, ma le autorità sanitarie di Omsk per il momento non rilasciano i documenti – mancherebbe l’autorizzazione del paziente, che però è in coma: ci sarebbe quella della moglie, arrivata a Omsk, ma non ha con sé il certificato di matrimonio dunque la burocrazia l’ha bloccata.
L’attivista ha milioni di sostenitori, che potrebbero adesso iniziare nuove proteste contro il potere putiniano. Proteste che il presidente potrebbe dover gestire non senza difficoltà, tra il rischio che il pugno duro inquini ulteriormente la sua immagine e che una reazione meno forte possa essere vista come una debolezza. Un po’ come succede con la Bielorussia.
Resta la domanda: perché? E perché adesso? Interrogativi che potrebbero chiarire informazioni su chi ha voluto avvelenare Navalny – davvero il Cremlino si è preso il rischio di un’azione così spettacolare creando la possibilità di aprire a una nuova stagioni di proteste, mentre la polizia anti-sommossa potrebbe servire in Bielorussia come estremo rimedio? Ma d’altronde nemmeno dietro al tea al polonio fatto bere all’ex spia Aleksandr Litvinenko – che aveva disertato e diffuso diversi particolari scomodi per il Cremlino – c’era una scadenza temporale in qualche modo identificabile. Certe azioni si compiono, o sfuggono dal controllo centrale. Ma val la pena ricordare che Navalny, con le sue campagne anti-corruzione s’è fatto diversi nemici anche fuori dal Cremlino.