Il Pd potrebbe sfilarsi dal governo sul referendum. Ne è convinto il prof. Carlo Galli, Storico delle dottrine politiche all’Università di Bologna, già deputato dem nella scorsa legislatura, che affida a Formiche.net una ampia analisi sulla diarchia Conte-Zingaretti, legati indissolubilmente ma anche concorrenti. Punto di partenza la consapevolezza che il rimpasto di cui si parla spesso altro non sarebbe che una “soluzione modesta per un governo che ha esaurito la sua ragion d’essere”.
Non solo un paio di ministri: sembra che il Nazareno abbia intenzione di premere per un ampio rimpasto. Potrebbe essere la soluzione? E con quali rischi?
Sarebbe una soluzione molto modesta e temporanea: vorrebbe dire sostanzialmente rinnovare solo cosmeticamente un governo che probabilmente ha esaurito la sua ragion d’essere. Più che cambiare qualche volto dovrebbe cambiare i propri orizzonti.
Il rapporto Conte-Zingaretti crede stia giocando un ruolo nella futura composizione dell’esecutivo?
Si tratta di due esponenti in perfetta concorrenza politica di fatto, ma che tuttavia sono legati dalle circostanze in modo abbastanza indissolubile. Il segretario dem punta ad evitare che il premier sia troppo protagonista. Conte rispetto a Zingaretti, invece, è come chi si guarda sempre da presunte insidie.
Hanno però due posture diverse nei rispettivi schieramenti…
Il segretario sappiamo che non ha un pieno controllo del Pd, un partito in fibrillazione per molti motivi. Il premier sotto il profilo politico non ha un’identità definita: nasce in quota M5S ma ha ampi margini di autonomia da loro e punta a durare. Zingaretti, molto indeciso, vuole anch’egli durare per onorare il mandato che gli è stato dato, ovvero non far precipitare il Paese verso le elezioni anticipate, ma senza apparire al rimorchio di grillini e premier. Mentre non essere a rimorchio dei primi è abbastanza facile, viste le loro divisioni interne, con il secondo è più difficile visto che Conte è abile a non decidere per durare.
Come l’equilibrio potrebbe interrompersi?
Grazie al referendum, figlio di un’altra stagione, quella giallo-verde che segnava l’inizio dell’attuale legislatura in cui i due partiti populisti di massa hanno messo sul tavolo il proprio obiettivo più ambizioso: la riduzione del numero dei parlamentari per il M5S e quota 100 per i leghisti. Quella vecchia stagione oggi presenta il suo conto: appunto, questo referendum sostanzialmente insensato.
Perché?
Perché figlio della rabbia populista, e quindi di per sé non significa alcunché. Inoltre affinché la diminuzione sciaguratamente votata abbia un minimo di senso occorrerebbe che fosse accompagnata da interventi che nessuno è oggi in grado di fare, come la riforma delle legge elettorale e quella dei regolamenti parlamentari.
Il referendum per il Pd è un tema spinoso.
Certo. Zingaretti non può dare l’impressione di essere tanto a rimorchio dei grillini da consentire che il referendum sia fatto senza che contemporaneamente sia stata votata una legge elettorale. Al netto delle sue difficoltà interne, il Pd non può dinanzi alla Costituzione essere complice di questa rottura della Carta solo per vedere l’effetto che fa, e senza il calcolo delle conseguenze. Al momento è impossibile pensare che le legge elettorale venga votata prima del referendum, per cui il Pd potrebbe sfilarsi dal governo su quel passaggio. Questo è il grosso problema che potrebbe fare da detonatore.
A quel punto?
Sarebbe una rottura politica fra i due alleati principali del governo e, con tutta la poca voglia che il Colle ha di sciogliere le Camere, sarebbe un motivo valido per mandare gli italiani al voto. È di per sé una cosa buona votare, non lo è in un momento di emergenza come questo. Per cui, al netto di questo quadro, è noto che Conte vuole durare ed è disposto a tutto: ovvero a fare nulla. La sua strategia è di non decidere, mentre Zingaretti non può cedere sul referendum. Tra i due quello che ci tiene di meno alla legge elettorale è il premier, che procede senza porsi troppi problemi. Anzi, credo che lo scandalo sorto su quei cinque proveracci per il bonus iva nasca dal fatto che qualcuno vuole far capire bene al Pd che non ha alternativa se non stare a questo gioco.
Vacilla la posizione di Bettini, che si è molto speso per l’esperimento Pd-M5S?
È un uomo intelligente che ha fatto un discorso teoricamente sensato. Ma la sua idea di alleanza col M5S prevede una certa egemonia dem verso i grillini, non una sudditanza. Una strada che non si incrocia con la decisione di andare al referendum consentendo a Renzi di impedire la nuova legge elettorale, nel perfetto disinteresse tanto di Conte quanto del M5S. Ai grillini interessa solo portare a casa quella promessa di riduzione: che dopo non ci sia una legge in grado di rappresentare in modo equo tutti gli italiani, a loro non importa nulla. Andare dietro a questa logica non credo sia il progetto di Bettini.
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