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Sarà la Puglia a decidere le sorti del governo (e forse anche di Conte)

Con  il voto di oggi sulla piattaforma Rousseau si chiude per sempre la fase anti-sistema del M5S e se ne apre una nuova, tutta da definire. Vi sono però due certezze pressoché assolute che possiamo già registrare e di cui tenere conto per i mesi (e gli anni) a venire.

La prima è che due anni al potere hanno fatto coriandoli dell’intero bagaglio retorico, populista e anti-casta del Movimento, rendendolo oggi un soggetto politico “stabile” alleato di governo con l’emanazione italiana del Pse e quindi, a tutti gli effetti, un partito nel pieno delle dinamiche “normali” di una democrazia parlamentare. Il tutto con buona pace del Dibba, del compianto Casaleggio senior e di Beppe Grillo prima maniera (quello attuale si vede a cena con il sindaco di Milano Beppe Sala, dimostrando così di avere capito tutto da tempo).

La seconda è che con il voto di oggi cambiano radicalmente gli equilibri di governo, con effetti che non tarderanno a mostrarsi.

L’autunno infatti non sarà solo il momento del venire al pettine di tutti i più delicati aspetti economici legati alla pandemia e della prova del nove sulla malattia medesima (anche per effetto della riapertura delle scuole), ma sarà anche la stagione di una serrata e feroce verifica politica dentro la maggioranza, di cui ora proviamo a descrivere i tratti salienti. Momento topico sarà (ovviamente) il 20 settembre, data del voto per sette regioni e per il referendum sulla riduzione dei parlamentari. Sul referendum c’è poco da dire: in qualche modo vincerà il Sì e sarà il M5S a beneficiarne politicamente, andando così a compensare (almeno in parte) i pessimi risultati delle liste regionali del Movimento.

All’appuntamento comunque i protagonisti della politica italiana arrivano in ordine sparso, con obiettivi divergenti e gran confusione. Però una sintesi è tutto sommato riscontrabile ed  questa (a mio avviso): l’unico vero risultato che conta è quello pugliese, quindi sarà la vittoria di Emiliano o quella di Fitto a dare il senso politico all’intera tornata elettorale e, quindi, a determinarne le conseguenze (diverse a seconda dell’esito).

Perché dico questo?

Perché le altre sfide hanno risultato scontato o poco significativo, perché la Puglia è la regione del premier Conte e perché proprio in quella regione la maggioranza di governo si presenta con tre candidati, cioè facendo tutto il possibile per perdere.

Cominciamo dal primo punto, cioè le altre sfide.

Il trionfo in Veneto di Luca Zaia è fuori discussione ed è in gran parte merito suo (più che della Lega) e così la vittoria di Giovanni Toti in Liguria, nonostante l’accordo sul candidato unico tra Pd e M5S. In Campania Vincenzo De Luca va alla riconferma con quasi nulli margini di dubbio (ed anche qui si tratta di un successo essenzialmente personale), mentre in Toscana il candidato comune Pd e Italia Viva dovrebbe riuscire a vincere, magari con margini meno brillanti di quelli abituali.

Così siamo al 2-2, con tutte conferme degli uscenti (in senso politico, in Toscana Giani al posto di Rossi). Mancano tre regioni di cui però una, cioè la Valle d’Aosta, fa storia a sé da sempre e quindi non rileva ai fini di questo ragionamento. Restano le Marche e la Puglia.

Nel primo caso è tutt’altro che impossibile un passaggio da sinistra a destra del governatore, in coerenza con quanto assai spesso accaduto negli ultimi anni (Piemonte, Calabria, Friuli, Abruzzo e così via): sarebbe un successo per Meloni e Salvini, ma non di proporzioni tali da far scattare l’allarme nei Sacri Palazzi.

Ben altra storia è quella pugliese, che un po’ va raccontata.

Michele Emiliano è da oltre un decennio al centro della politica regionale, prima come sindaco di Bari e poi come presidente della Regione. Carattere importante, stile di governo personale: l’ex magistrato era per molti versi il soggetto ideale per far convergere sulla sua persona i consensi di Pd e M5S.

Invece non solo questo non è accaduto, ma alla divergenza tra i due principali alleati nel governo nazionale si è aggiunta la dissociazione di Matteo Renzi, con tanto di candidato autonomo (Ivan Scalfarotto), segno della antica ruggine mai sanata tra l’ex premier toscano ed Emiliano, ma indice anche di un calcolo ben preciso del fondatore di Italia Viva.

Calcolo che ci riporta al punto centrale della questione: la Puglia è l’ago della bilancia, è la regione di Giuseppe Conte (non casuale l’annuncio proprio da quelle parti dello studio di fattibilità del tunnel sotto lo stretto di Messina) che si è speso senza successo per trovare un accordo (come raccontano i ben infornati di cose pugliesi), è il laboratorio volutamente mancato di un accordo Pd-M5S-IV.

Insomma se sarà Emiliano a prevalere la verifica di governo si farà comunque, ma con una posizione più forte del premier. Se invece sarà Fitto il nuovo governatore ecco che la verifica si farà più cattiva e profonda, quindi senza posti garantiti per nessuno (nemmeno a Palazzo Chigi).

Tutto sommato l’esito (quest’ultimo) più gradito a molti e certamente a Matteo Renzi e Luigi Di Maio.

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